sabato 12 gennaio 2019

Recensione. "Via dalla pazza folla" di Thomas Hardy e alcune riflessioni.

Buonasera lettori e ben ritrovati. Passato buone feste? Mangiato in abbondanza? Disatteso puntualmente la dieta di inizio anno che faceva parte dei buoni propositi? Perfetto, allora possiamo iniziare con la prima recensione del 2019 con animo sereno, soprattutto dal momento che se il primo libro dell'anno è un buon libro direi che siamo sul sentiero giusto. 

Trama:
Hardy è un meraviglioso creatore di figure femminili, e Bathsheba, la protagonista di "Via dalla pazza folla", è la prima e la più incantevole di esse. Irrequieta e indipendente, intelligente e svagata al tempo stesso, crede di raggiungere una completa autonomia quando eredita un magnifico podere e un'antica casa signorile. Ma la bella forestiera finisce col trovarsi contesa fra tre pretendenti: lo sfortunato, ma forte e sereno Oak, suo lavorante e fattore; il ricco fittavolo Boldwood, grave e austero; lo spregiudicato sergente Troy. È quest'ultimo ad avere la meglio sulle prime, ma alla fine sarà Oak con la sua cieca e malcompresa devozione a salvare le sorti della padrona e del piccolo mondo bucolico di Watherbury dai rovesci della sorte.



Premetto che la scelta è ricaduta su questo libro per via della Challenge a cui sto partecipando, e ho scelto Hardy perché me lo sono ritrovato davanti per caso sugli scaffali della biblioteca e perché avevo un felice ricordo della lettura di "Tess dei D'Urberville". 

L'autore non mi ha deluso nemmeno stavolta, sono stata catapultata in pieno 800 nella campagna inglese, a osservare tre pretendenti che spasimano dietro a questa bellissima e capricciosa ragazza che è Bathsheba, sconvolgendo l'armonia del paesino di Weatherbury. 

Badate bene, non a caso ho scelto la parola osservare. Già, perché l'abilità peculiare di Hardy è la descrizione dell'atmosfera della campagna, dando al lettore l'impressione di stare guardando un dipinto. I personaggi vengono presentati con dovizia di particolari, le loro virtù e le loro debolezze tratteggiate senza forzature rendendoli verosimili, la vita e le consuetudini dei contadini spiegate con cognizione. 
Su questo sfondo bucolico così piacevole, si succedono le avventure di Bathsheba e dei suoi pretendenti. Il primo a comparire è il pastore Gabriel Oak, un uomo dall'aspetto comune, dal temperamento sereno, e che tuttavia si dimostra così fedele e tenace, in nome del suo amore per Batsheba, da diventare per lei un punto di riferimento inalienabile dal punto di vista affettivo e anche dal punto di vista della gestione della fattoria. Dall'inizio alla fine ho avuto un debole per questo personaggio che se ne sta ai margini a osservare nella segreta speranza che il suo amore venga corrisposto e ho sempre fatto il tifo per lui.





Il secondo sulla scena è il fittavolo Boldwood, oggi lo definiremmo lo scapolo d'oro. Ricco, riservato e completamente disinteressato alle donne, si innamora perdutamente di Bathsheba dopo che lei, per scherzo (di pessimo gusto), gli fa recapitare un audace biglietto di San Valentino solo per valutare la sua reazione. 
Già contesa tra i primi due, che tuttavia restano garbati e animati solo dalle migliori intenzioni, Bathsheba incontra infine il sergente Troy, il bellimbusto che la irretisce. Succube del suo fascino da uomo di mondo, Bathsheba finirà per sposarlo in fretta e in segreto, salvo poi pentirsene amaramente perché il sergente, all'inizio prodigo di carezze e attenzioni, finisce poi per perdere interesse per la moglie e sfogare i suoi più bassi istinti altrove.
Per quanto riguarda la protagonista, vi dirò che non ho intenzione di spendere molte buone parole per lei. Mi è stata antipatica fin dal momento in cui viene presentata. Nonostante la fervida intelligenza e la volontà di mettersi in gioco e tenere le redini della gestione della fattoria (cosa inconcepibile in un'epoca in cui a comandare e a gestire le cose pratiche erano gli uomini), Bathsheba è ostinata, volubile, capricciosa, svagata, ingenua, arrogante e orgogliosa. Ma devo anche ammettere che rare volte in un romanzo un personaggio femminile viene descritto da un autore di sesso maschile con così tanta minuziosità, con tutte le sue contraddizioni date dall'essere donna e avere uno spirito indipendente e un temperamento indomito.

Il romanzo, preso per intero, ha un ritmo narrativo piuttosto lento, e tuttavia è godibilissimo, non solo per la capace tecnica descrittiva di cui parlavo prima, ma anche e soprattutto per la sottile e sagace ironia che traspare dalla caratterizzazione dei personaggi, che mi ha ricordato tanto la Austen e spesso durante la lettura mi ha fatto ridere di gusto.
Nelle ultime pagine un colpo di scena rompe definitivamente la catena di disavventure di Bathsheba, regalando al lettore un degno lieto fine che mi ha fatto esultare, e non svelo altro. 

Breve riflessione postuma:
Quanto mi fa sorridere leggere, in un romanzo d'altre epoche, della velocità a cui un uomo diceva a una donna appena conosciuta "Ti amo, sposami". Le informazioni che bisognava procurarsi su una persona dell'altro sesso erano a portata di tutti, soprattutto in un piccolo paesino della campagna inglese: età, discendenza, educazione, stima dell'ammontare delle ricchezze. E tanto bastava. Oggigiorno è tutto molto più complesso e a dire ti amo possiamo metterci anche degli anni, non parliamo poi della decisione di sposarsi. Voi che ne pensate? 














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