Buonasera lettori, stavolta vi parlo di un libro che mi ha completamente catturata per un'intera settimana. A leggere la quarta di copertina e a contare il numero delle pagine diresti che è bello succoso, sì, come argomento ma che si lascia leggere in breve tempo. E invece devo dirvi che ha stimolato in me così tanti e lunghi ragionamenti su quello che a mano a mano leggevo che adesso non sono più tanto stupita di averci messo tanti giorni a finirlo.
Trama:
Per chiunque abbia fatto parte della generazione che fu giovane negli anni Settanta del Novecento, la generazione dell’autrice, Sara – la Penelope segreta, che s’è rifiutata di aspettare, di questa indagine narrativa su un suicidio – è un essere molto familiare. C’era una Sara, più o meno vicina al modello, quasi in ogni gruppo, nota, conosciuta o mitizzata in ogni compagnia di amici e di colleghi di studio. Magnetica incarnazione dello spirito del tempo; prova apparente che il buon selvaggio non fosse un mito ma il futuro liberato dalla corruzione del potere civile. E l’incarnazione si realizzava nella libertà sessuale: naturale, autentica, mai esibita, antiideologica, Eros trionfante su Thanatos, Dioniso su Apollo, l’innocenza infantile del piacere sulla malizia del vizio. E naturalmente tale identificazione della libertà con la sessualità doveva apparire ancora più naturale ed anticonformista nella Spagna da poco uscita dal bigottismo del Franchismo della Sara di questo libro. Ma nessuno sapeva di cosa ne sarebbe stato di una Sara dopo il tragico inevitabile; dopo il trauma di scoprire che anche quella libertà era solitaria e illusoria, e obbligatorio il ritorno ai ruoli donneschi di madre e di moglie.
Il romanzo di Alicia Giménez-Bartlett invece parte da qui. E mira a ricostruire che cosa successe a Sara nel corso del tempo del dopo. Lo rievocano, i giorni successivi al suicidio di Sara, le amiche che formavano il suo gruppo, il bolso personaggio che ne divenne il marito, la figlia che mai poteva amarla, fino alla scoperta del più intimo ultimo segreto, dell’ultimo inaccettabile amore: pezzi di memoria strappati con dolore dall’amica che narra in prima persona; ricordi nostalgici e pieni di un affetto senza comprensione; oppure le giustificazioni del conformismo alle ferite inferte come in riti sacrificali di espiazione. La rivincita sorda, progressiva e crudele dell’ordine sul caos creativo. E il ritratto della splendida persona sconfitta dalla Penelope segreta appostata in ogni vita di donna, si piega in modo inquietante a una domanda sul tempo: che è troppo e troppo poco.
Sara, appena passati i cinquant'anni, si suicida ingurgitando dei barbiturici. Dopo il suo funerale l'autrice, l'io narrante, amica di gioventù di Sara, resuscita tutti i ricordi, i dialoghi e le loro bravate giovanili, alternandoli col racconto del presente, della sfilata degli amici di sempre che si presentano da lei, affermata scrittrice, per ripulirsi la coscienza riguardo alle circostanze che hanno condotto Sara alla decisione estrema.
Fin dalle prime pagine traspare l'intensa ammirazione che l'autrice nutre per Sara, la musa del sesso, la collezionista di falli, la donna nata per essere libera e selvaggia, per vivere al di sopra delle convenzioni, delle leggi sociali, dei doveri, dei sensi di colpa. Dalle vicende goliardiche degli anni dell'università e della rivoluzione sessuale, la narratrice accompagna per mano il lettore lungo tutte le vicissitudini della vita di Sara.
Dopo l'aborto seguito a una gravidanza indesiderata, le amiche Berta e Ramona si auto conferiscono il ruolo di consigliere sullo stile di vita di Sara, imponendo un ordine dettato dalle convenzioni sociali al caos che regna nella sua vita: un matrimonio con un intellettuale dalla idee parecchio confuse, che riesce a imbrigliare quello spirito libero relegandola al ruolo di moglie, e in seguito a quello di madre. Qui, secondo l'autrice, che resta anonima fino alla fine, inizia il declino di Sara. Il punto di vista è molto soggettivo in tutte le pagine, ma smuove un sacco di interrogativi su ciò che si reputa comunemente giusto e sbagliato. Sara raccattava gatti randagi e frequentava disagiati, li accoglieva indistintamente in casa sua, gioiva della vita, raccoglieva il piacere dovunque lo trovasse, e chi dice che tutto questo sia sbagliato? Il lavoro, il matrimonio, la maternità, sono necessari? Fino a che punto dobbiamo ritenere giusto conformarci alla massa, in base a quale criterio ci reputiamo persone normali? La psicanalisi aiuta davvero le persone oppure uccide la soggettività riducendoci a una mera materia di categorizzazione dei disturbi psichici? Quale potere ha un'amica o uno psicanalista per ergersi a giudice della vita altrui? Può una madre diventare tale controvoglia e per sua stessa natura non riuscire ad amare sua figlia? Perché una figlia deve subire la decisione imposta da qualcun altro di venire al mondo e passare la vita a odiare sua madre perché da quando era in fasce non ha mai avvertito quel legame che diamo per scontato tra madre e figli? Perché sembra più facile cercare di convertire una persona a ciò che si pensa sia bene per lei solo perché "è così che fanno tutti" piuttosto che domandarsi cosa sia veramente bene per quella persona?
Intorno a questi e molti altri interrogativi gira tutto il romanzo, che a tratti sembra un giallo, ma è più che altro una intensa analisi della società, del conformismo viziato dagli stereotipi della cosiddetta ricerca della felicità.
Un libro che vi consiglio assolutamente di leggere, prendendovi del tempo, e a mente serena, perché vi darà molto su cui riflettere.
Nessun commento:
Posta un commento