sabato 29 ottobre 2016

L'odissea d'amore di "Marina Bellezza"

Dopo Hemingway e il safari di caccia, avevo assolutamente bisogno di leggere qualcosa un po' più nelle mie corde e quindi sono andata a colpo sicuro con un'autrice di cui avevo veramente adorato la prima opera, "Acciaio". Credo che Silvia Avallone, come Valentina D'Urbano e Margaret Mazzantini, sia una di quelle poche scrittrici contemporanee che riesce a creare nel lettore la sintonia perfetta con l'umore dei suoi personaggi. Riesce a far ridere, piangere, riflettere, nella giusta dose. Una scrittura bilanciata, senza troppi giri di parole, aggettivi scelti con cura che vanno dritti al segno, una forza espressiva di talento.


Trama:
Marina ha vent’anni e una bellezza assoluta. È cresciuta inseguendo l’affetto di suo padre e di una madre troppo fragile. Per questo dalla vita pretende un risarcimento, che significa avere il mondo ai suoi piedi. Un sogno da raggiungere con ostinazione. La stessa di Andrea, che lavora part time in una biblioteca e vive all’ombra del fratello emigrato in America, ma ha un progetto folle e coraggioso in cui nessuno vuole credere, neppure suo padre, il granitico ex sindaco di Biella. Per lui la sfida è tornare dove ha cominciato il nonno tanti anni prima, risalire la montagna, ripartire dalle origini. Marina e Andrea si attraggono e respingono come magneti, bruciano di un amore che vuole essere per sempre.









Questo romanzo mi ha scosso fin dentro le viscere. Sarà che capita proprio in un momento in cui l'avere a che fare con persone superficiali come Marina e il desiderio di mollare tutto e andare a zappare la terra e allevare galline come fa Andrea, stanno oltremodo alterando la mia già scarsa pazienza e innescando in me la sensazione che potrebbe provare un animale selvatico chiuso in gabbia. Marina, la cafona che approda in tv convinta di avere il mondo ai suoi piedi, mi ha suscitato antipatia fin dalle prime righe, nonostante la sincera commiserazione che ho provato per la sua infanzia traumatica e il rapporto tortuoso con i suoi genitori. Ho apprezzato di più la reazione di Andrea, nemmeno lui esente da un carico di torti subìti nell'infanzia, reali o fraintesi che siano. Entrambi decidono di prendere in mano le redini della propria vita, a dispetto di tutto e tutti, e inseguire un sogno, anche se in direzioni diametralmente opposte. E' questo che rende speciale il loro amore in fin dei conti, almeno finché dura. 
Marina è capricciosa, immatura e viziata; Andrea introverso e riflessivo. Marina vuole sfondare nel mondo dello spettacolo, Andrea vuole vivere nell'invisibilità delle montagne. Marina vuole il mondo ai suoi piedi, acclamata come una diva, Andrea desidera vivere al ritmo del sole e delle stagioni con le mucche come uniche compagne di vita. Solo le mucche e Marina, l'amore della sua vita. Ma come è possibile conciliare la vita di un contadino con quella di una starlette di Mediaset? Non sembra possibile ovviamente ma non voglio anticiparvi il finale. Quello che conta, quello che emoziona, è ciò che sta in mezzo, il perdersi e ritrovarsi continuo di due anime in pena che si amano ma si respingono. La ricerca di un compromesso, il tentativo di negoziare una relazione, tra due persone di indole così diversa. Comprendersi, promettersi, accettarsi, poi mandarsi a quel paese, per poi ritrovarsi di nuovo e ricominciare daccapo. Una relazione straziante perché anche se vorresti aprirgli gli occhi e dirgli "Guarda che ti stai facendo del male" sotto sotto fai il tifo perché uno dei due ceda e vinca l'amore, nonostante tutto. Ma non è solo una storia d'amore e odio tra due persone, è anche una storia di amore e odio verso la propria terra e le proprie origini, vissute a volte come impedimento al successo e a volte come l'occasione per ripartire da zero, costruendosi una vita più genuina.
Proprio come in "Acciaio", Silvia Avallone coglie tutte le sfumature delle emozioni più cupe e tormentate e le riporta magistralmente sulla carta, a cominciare dallo sguardo del cervo investito che cerca di restare aggrappato alla vita, fino all'ultimo sguardo di Marina Bellezza che corre lungo le montagne del biellese. Vi consiglio assolutamente questo libro, dalle tinte forti ma che racconta l'odissea d'amore più attuale che si possa immaginare.





GdL Librarsi, l'incontro di ottobre 2016

Ben ritrovati lettori, ultimamente sono stata piuttosto presa da tanti altri progetti che non ho dedicato molto tempo al blog, e adesso ho tante cose di cui parlare!
Partiamo dall'ennesimo successo dell'incontro mensile del Gruppo di Lettura, che continua a crescere! :D

Il libro scelto per l'incontro era "Verdi colline d'Africa" di Ernest Hemingway.. Pochi giorni dopo la scelta del libro, a fine settembre, ci siamo ritrovate per programmare le nostre serate culturali dell'autunno, e una di noi che aveva già iniziato a leggerlo mi ha detto che io, che nel frattempo stavo ultimando un altro libro, "ci sarei andata a nozze". Ora, chiariamoci. Il fatto che io allevi animali esotici e che di domenica imbracci repliche di fucili in mimetica, non sottintende necessariamente che apprezzi un report fedelissimo di un safari di caccia in Africa. Tralasciando la mia personale opinione su questo genere di passatempo, perché mi dilungherei troppo, posso dire con molta onestà che mi aspettavo di più da questo libro.







Come avevo spiegato nel post precedente, il dettaglio che caratterizza i nostri incontri del Gruppo di Lettura, e che ci ha rese note, è il cibo che accostiamo alle letture. Voi mi direte, cosa c'entrerà mai una tartina di frutta secca con l'Africa? Beh, con tutto il rispetto per Mr Hemingway, non potevamo di certo gustare carne di kudù arrosto annaffiata da litri di whiskey. L'unica cosa menzionata nel libro che ha destato la mia curiosità è stato il mincemeat in scatola che la compagnia di cacciatori gusta davanti al fuoco da campo. Quindi mi sono documentata e ho scelto di preparare le mince pies, tipico dolcetto natalizio. Qui trovate la ricetta di queste deliziose tartine, che non si fanno comunque mancare la loro quota di whiskey.


Cosa mi aspettavo da questo libro è difficile a dirsi. La parte descrittiva del paesaggio, delle abitudini degli indigeni e delle tecniche di caccia è evocativa e su questo non ho niente da dire. Ma il personaggio Hemingway, e tutti i dialoghi, mi hanno suscitato un certo fastidio, che probabilmente ha a che fare con l'associazione che ha fatto la mia mente con un cacciatore di mia conoscenza che non gode della mia stima in generale, quindi il mio giudizio non è a tutti gli effetti imparziale. Ma il mestiere del lettore è complicato e purtroppo si può incappare anche in questi pregiudizi.

Nelle ultime pagine, però, ho trovato una riflessione che, da sola, salva completamente il senso di questo libro. Una riflessione sulla mano dell'uomo che danneggia la natura incontaminata, e sul senso di appartenenza a una terra che non è la tua, ma che vorresti che lo diventasse perché è l'unica che riesce a regalarti delle emozioni uniche. Ed è una sensazione che conosco bene.

Alcune di noi non sono riuscite a terminare la lettura perché non vi hanno trovato il piacere che speravano. Io però vi consiglio di leggerlo, e di leggere prima di tutto la prefazione per cogliere appieno il senso che l'autore vuole trasmettere: un fedelissimo reportage, niente di più. Non un'opera di fantasia, ma quello che veramente accade nella competizione dell'arte venatoria, quello che passa per la testa del cacciatore, le tattiche, le sensazioni, senza pregiudizi di sorta sulle persone e su questo tipo di attività.



sabato 15 ottobre 2016

QUANDO IL POTERE DEL VERBO E' SALVEZZA E DISTRUZIONE - MAICO MORELLINI TORNA TRA I TITOLI DI URANIA




Tra i tanti e svariati talenti che si nascondono a Bagnolo in Piano, Maico Morellini lo avevo intervistato qualche anno fa, in qualità di vincitore del Premio Urania 2010 con il suo romanzo d'esordio “Il Re Nero”. A sorpresa, perché all'epoca aveva preferito tacere sui suoi progetti in cantiere, ritrovo il suo nome tra i titoli di Urania in uscita nel 2016. E' disponibile da maggio di quest'anno, infatti, il suo secondo romanzo “La terza memoria”, in formato sia cartaceo che digitale, e ho deciso di farmi raccontare da lui stesso le novità della sua carriera di scrittore.


Ricapitoliamo un po' i tuoi ultimi lavori successivi alla pubblicazione de “Il Re Nero”
Dopo Il Re Nero mi sono messo subito a scrivere un secondo romanzo 'La Terza Memoria', uscito per esigenze editoriali di Mondadori nel maggio del 2016 ma che io ho finito nel novembre del 2013. Dopo questo ho pubblicato racconti in digitale, ho partecipato a diverse collane di fantascienza ("I Sogni di Cartesio" e "Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici" entrambe pubblicate da Edizioni della Vigna più altre raccolte), ho iniziato a collaborare con la rivista di cinema Nocturno , per la quale scrivo tuttora, e ho creato la serie di hard science-fiction de I Necronauti uscita sia in digitale che in cartaceo
Mi parli del successo della serie de I Necronauti?
I Necronauti sono nati nel maggio del 2014 quando Delos Digital, nella persona di Franco Forte, mi ha proposto di creare una mia serie di fantascienza. Una saga a puntate, con episodi che potessero essere autoconclusivi ma legati uno all'altro. E così ho pensato all'ambientazione e ho scritto i primi dieci racconti lunghi che hanno composto una sorta di prima stagione della saga. Questi racconti sono stati pubblicati in digitale e poi a settembre 2015 in cartaceo, in una raccolta unica, pubblicata da Edizioni BMS nella collana Ambrosia. Nel frattempo ho scritto una seconda stagione composta da cinque racconti, sempre per Delos, pubblicata nella primavera del 2015. Sia i primi dieci racconti che gli altri cinque sono disponibili in tutti gli ebook store. La seconda stagione riprende, molti anni dopo, le trame che ho sviluppato nella prima serie di racconti. L'ambientazione della saga, come accennavo, è fantascientifica in un remotissimo futuro nel quale ci sono colonie terrestri su quasi tutti i pianeti del Sistema Solare.
Cosa ti ha ispirato alla stesura del secondo romanzo?
Subito dopo la pubblicazione de Il Re Nero, l'ispirazione arriva da un progetto molto ambizioso e complicato che ho deciso si spezzare in due, trasformandolo in quelli che spero saranno due romanzi indipendenti. Uno di questi è La Terza Memoria perciò metà del piano è riuscito.
C'è una sorta di dualismo tra bene e male ne “La terza memoria” che ha a che fare col Verbo, ossia la parola. Me lo spieghi meglio dal punto di vista dell'autore?
In realtà ne La Terza Memoria tutti i personaggi, o quasi, sono piuttosto ambigui. Non c'è bianco e nero ma ci sono tante sfumature di grigio. Così il bene e il male non sono facilmente identificabili, anzi. Il Verbo è la vera neutralità: è una forza a disposizione, un potere a cui è possibile avere accesso seguendo determinate regole. Ha anche una sua volontà ma è talmente superiore da trascendere i concetti di bene e male. In più tutto il romanzo è anche un omaggio alla parola scritta e alla sua importanza. Non faccio filosofia e nemmeno politica sociale, il mio è un libro di intrattenimento. Ma viviamo in tempi in cui la parola scritta è abusata secondo me e con questo libro voglio anche, nel contesto fantascientifico della storia, lanciare un piccolo messaggio: attenti quando scrivete, le parole hanno un peso!
E Urania ha deciso di pubblicarti, seppur in ritardo, anche il secondo romanzo..
Si, quando ho finito la stesura del romanzo, l'ho spedito a Giuseppe Lippi e Franco Forte, curatori di Urania per Mondadori, e dopo averlo letto mi hanno dato la buona notizia: il romanzo sarebbe stato pubblicato sulla collana. E così è stato.
Vorrei da te qualche osservazione sul panorama letterario fantascientifico italiano
Contrariamente a quanto si può credere setacciando gli scaffali delle librerie, la fantascienza italiana è viva, varia e capace di offrire romanzi molto diversi tra loro. Purtroppo in generale, in Italia, il genere fantascientifico è piuttosto bistrattato: lo spazio dedicato a romanzi di questo tipo nelle varie librerie è molto ridotto e spesso affidato ad autori del passato. Poco o nulla viene pubblicato di autori italiani contemporanei a meno di non iniziare a frequentare il circuito degli ebook. In digitale la situazione è molto differente: vi sono tanti titoli, tante forme - racconti, raccolte o romanzi - e tanti bravi autori che meriterebbero di essere letti. Ma, purtroppo, in Italia si legge poco e la fantascienza, genere frainteso e secondo me non del tutto capito, paga un prezzo molto salato per questa mancanza generale di lettori.
Come vedi la tua carriera di scrittore proiettata nel futuro?
Bella domanda. E' una strada in salita. Lo sarebbe per qualunque genere ma scrivere fantascienza, proprio per i motivi a cui ho accennato prima, la rende ancora più complicata. La determinazione non mi manca, le idee nemmeno. Nel complesso sono molto contento di come stanno andando le cose e già nel prossimo futuro avrò qualche altra bella soddisfazione, ma la strada da fare è ancora davvero tanta.



Ringrazio Maico per la sua disponibilità e gli auguro un enorme in bocca al lupo per la sua carriera, e vorrei spendere due parole invitando la popolazione che ci legge a sostenere il talento e l'eccellenza bagnolese in tutte le sue forme.




martedì 11 ottobre 2016

Gli effetti collaterali del nazismo sulle donne. "La baracca dei tristi piaceri" di Helga Schneider e "Diario di Hannah" di Louise Lambrichs

Cari lettori, come credo capiti alla maggior parte di voi, ci sono periodi in cui si ha bisogno di vivere attraverso i libri determinate emozioni, per cui si sceglie di leggere una cosa piuttosto che un'altra, magari si mettono in fila sul comodino una serie di libri che a un profano sembrerebbero non avere una logica comune, eppure.. 
Ecco, è quello che è capitato a me quando ho deciso di abbracciare per un po' il tema del nazismo. "La baracca dei tristi piaceri" di Helga Schneider è un titolo che ultimamente compariva spesso tra le proposte del mio Gruppo di Lettura, bocciato ogni volta per motivi diversi, e in particolare perché una di noi, avendo già letto altro della Schneider, si rifiutava di concedersi a temi così crudi. "Diario di Hannah" di Louise Lambrichs è un'eredità capitata tra le mie mani un po' per caso, ignoto ai più e che mi pregio di diffondere con questo post.

E' un periodo di letture al femminile, ma soprattutto ero in cerca di emozioni drammatiche e crude, forse un retaggio di quel lato tenebroso del mio carattere che spesso tendo a reprimere. Dunque, affascinata molto anche dalla storia privata della Schneider durante la guerra (qui la sua toccante biografia), ho iniziato a leggere "La baracca dei tristi piaceri"..


Trama:
"Stava lì, l’aguzzina delle SS, capelli biondi e curati, il rossetto sulla bocca dura, l’uniforme impeccabile. Stava lì e pronunciò con sordida cattiveria: «Ho letto sulla tua scheda che eri la puttana di un ebreo. È meglio che ti rassegni: d’ora in poi farai la puttana per cani e porci»." Così racconta l’anziana Frau Kiesel alla scrittrice Sveva, dando voce a un dramma lungamente taciuto: quello delle prigioniere dei lager nazisti selezionate per i bordelli costruiti all’interno stesso dei campi, con l’ipocrita giustificazione di voler limitare l’omosessualità tra i deportati. Donne i cui corpi venivano esposti ai sadici abusi delle SS e dei prigionieri maschi che malgrado tutto preferivano rinunciare a un pezzo di pane per pochi minuti di sesso. Donne che alla fine della guerra, schiacciate dall’umiliazione, invece di denunciare quella tragedia fecero di tutto per nasconderla e seppellirla dentro di sé.
"

Che delusione! Nonostante la mia nota tendenza a fraternizzare con protagoniste dalla vita tormentata, il personaggio di Frau Kiesel non ha suscitato in me alcuna empatia. Il racconto senza dubbio dovrebbe farci riflettere su quanti orrori, a distanza di 70 anni, vengono ancora taciuti per vergogna, per pudore, sulla strategia e sulle abitudini sociali tenute in Germania durante la seconda guerra mondiale. Però questo libro mi è sembrato più un saggio con una pretesa di romanzo, piuttosto che un'opera narrativa vera e propria. La parte descrittiva, anche quella che dovrebbe suscitare più raccapriccio, l'ho sentita gelidamente asettica e scarna, come se l'autrice avesse snocciolato una serie di nozioni storiche farcite di testimonianze reali. Un vero peccato, perché credo che il tema meritasse di essere trattato molto più a fondo e che la narrazione andasse tratteggiata con maggiore delicatezza e trasporto. Mi meraviglio perché so che altre persone hanno apprezzato molto altri suoi libri, e vorrei ben vedere, chi meglio di lei potrebbe raccontare la tragedia vissuta sulla propria pelle? Quindi adesso sono molto combattuta tra l'impulso di leggere un altro suo romanzo o meno, per stabilire una volta per tutte se merita o no. Voi avete mai letto qualcosa di suo?

Nel "Diario di Hannah", invece, il nazismo è solo un contorno, uno sfondo addirittura un po' sfocato che dà l'input alla storia vera e propria. Diciamo che, piuttosto che parlare dell'orrore della guerra, qui l'autrice percorre una via secondaria e parallela che indaga sugli effetti collaterali della guerra. Hannah è costretta a rinunciare alla sua identità, alla sua famiglia originaria, per sfuggire alla deportazione, e infine, quando ha ormai  iniziato una nuova vita in Francia e si crede al sicuro, la situazione politica europea le infligge anche la rinuncia doverosa alla maternità. 



Trama:
"Possibile che un evento così comune come un aborto trasformi in maniera definitiva la vita di una donna?"
Intorno a questo tema, la rinuncia forzata a un figlio, si snoda la vicenda di Hannah, giovane ebrea, sposata e già madre di una bambina di quattro anni, che nella Francia occupata del 1943, è costretta ad abortire per l'insistenza del marito che non si sente di mettere al mondo un figlio in quella situazione. L'esperienza della guerra, che Hannah vive nella clandestinità della resistenza, e gli orrori della deportazione si sommano a quell'evento traumatico, da cui lei tenta di salvarsi scrivendo un diario che registra le vicende quotidiane della sua vita.
Ma tra le pagine si cela un segreto: la bambina non nata abita i sogni della madre, vive quasi di vita propria tanto che Hannah, presa tra realtà e fantasia, rischia di perdere la ragione. Come le vittime dell'Olocausto, anche la piccola non ha altro luogo dove riposare se non al fondo della memoria.
Giudicato il miglior libro del 1993 dalla rivista francese Lire, Diario di Hannah, rimasto a lungo nelle classifiche dei libri più venduti, scava nell'inconscio femminile intessendo una storia che unisce passato e presente in un vissuto interiore di grande intensità.


Ho molto apprezzato questo libricino per un sacco di motivi. I vari temi affrontati sono delicati e trattati come meritano: non solo la guerra, il nazismo, l'aborto, il desiderio di maternità infranto per sempre, ma anche e soprattutto numerose riflessioni sulla politica, sulla società ideale, sul matrimonio, sulla fedeltà coniugale, sulle relazioni tra genitori e figli, sull'autoanalisi interiore, sul potere catartico del raccontarsi, anche attraverso un diario, sul dolore alienante che rasenta la follia. Non mancano addirittura i colpi di scena, qualche tocco di assurde coincidenze e un finale dolcissimo. Mi sento assolutamente in dovere di consigliarvi questo libro, è una lettura intensa, scorrevole, multitematica, toccante, che fa riflettere sulla complessità delle emozioni delle donne. 













sabato 8 ottobre 2016

Idea fai-da-te #1: Il portacorrispondenza

Buonasera cari lettori! Stavolta inauguriamo una rubrica dedicata ai lavoretti fai-da-te. Già, perché tra le tante cose che mi appassionano ci sono anche il bricolage e il riciclo creativo; amo il lavoro manuale, l'espressione artistica, sporcarmi le mani con le tempere e la colla vinilica, e per un periodo ho desiderato guadagnarmi da vivere costruendo case per le bambole. :D
Il risultato delle mie serate dell'ultima settimana adesso fa bella mostra di sé sulla scrivania del mio ufficio                       =====>
E vi spiego come l'ho costruito...

     Occorrente:
  • Un quadrato di cartone da imballaggio dello spessore di circa 1 cm
  • Tovagliolini a tre veli colorati a tinta unita o fantasia
  • Colla vinilica
  • Fiori finti
  • Passamaneria
  • Colla a caldo
  • Una fotografia o un disegno o decorazione a piacimento
    
 Procedimento:


Come prima cosa, armata di matita righello e cutter, ho tagliato il cartone in 6 pezzi: la base e il davanti misurano 20 x 10 cm, il retro 20 x 16 cm, l'elemento divisorio 20 x 12 cm, i lati 16 x 10 cm tagliati a 45 gradi. 





Quindi ho assemblato tutti i pezzi con la colla vinilica. Essendo comunque a tutti gli effetti un lavoro da dilettante, a posteriori alcuni passaggi li avrei eseguiti diversamente.





 Ad esempio, il ritaglio rettangolare nell'angolo in basso a sinistra l'ho fatto solo dopo aver incollato i vari pezzi, riflettendo sul fatto che mi avrebbe fatto comodo avere uno spazio con un'apertura così dove tenere le graffette, i post-it e la gomma per cancellare, ma sarebbe stato meglio averci pensato al momento del ritaglio generale.



A questo punto, ho rivestito il tutto, dentro e fuori, con dei tovaglioli arancioni, usando ogni velo separatamente, con  colla vinilica e acqua, a mo' di cartapesta. Anche a questo proposito, pensandoci dopo, è stato un lavoraccio rivestire l'interno e probabilmente sarebbe stato meglio farlo quando tutti i pezzi erano ancora separati.




Per avere questo effetto ho ripetuto l'operazione della cartapesta per tre volte, lasciando asciugare almeno 24 ore tra un passaggio e l'altro.



Ecco, guardandosi attorno in casa, soprattutto se come me "non buttate niente" si possono trovare molte cose carine da usare per decorare. Io ho una serie di girasoli finti (non è un caso, perché sono il simbolo della mia storia d'amore), poi ho trovato della lana colorata e del nastrino bianco dalla cesta della passamaneria che ho usato lo scorso Natale per fare i regali.









Con qualche punto di colla a caldo nei posti giusti, ecco il risultato





Questa è una cosuccia che ho fatto un paio di anni fa, quando, ancora inebriata dall'amore appena sbocciato, mi dilettavo a ficcare nei miei disegni tutte le possibili varianti di noi due.




 L'ho scansionato e stampato a colori, e applicato con della colla vinilica sull'angolo libero.




Questo è tutto, il risultato è una cosa carinissima che adesso a lavoro mi invidiano tutte, perché dà un tocco personalizzato al luogo in cui passo, ahimé, la maggior parte del tempo!
Spero di avervi dato uno spunto utile, e sicuramente non sarà l'ultimo perché Natale si avvicina e io parteggio sempre per i regali self-made. :)


mercoledì 5 ottobre 2016

"L'indipendenza della signorina Bennet", SI PROPRIO QUELLA BENNET LI', di Colleen McCullough




  
 Trama:
Elizabeth la saggia, Lydia la mondana, Jane la bella, Mary la timida. Generazioni di lettrici hanno pianto, sperato, sognato insieme alle sorelle Bennet, indimenticabili protagoniste di "Orgoglio e pregiudizio". Vent'anni dopo l'epilogo del romanzo della Austen, le ritroviamo qui al fianco di mariti devoti, distratti o crudeli; assediate dalla malinconia o dai pettegolezzi: impegnate a crescere i figli o a frequentare circoli alla moda; alle prese con le gioie, i dubbi e le debolezze del tempo che passa. Tutte tranne Mary, la più docile, la più riservata... Non si può dire che, fino a qui, la vita sia stata troppo generosa con lei: bruttina, ignorata dai pretendenti e inchiodata alle convenzioni, ha trascorso più di un decennio al capezzale di una madre capricciosa e malata. Ora, alla morte di questa, si ritrova improvvisamente sola e libera, con un futuro tutto da inventare. Sfidando le convenzioni e le proprie più profonde paure, Mary si getta in un'avventura imprevedibile, complicata e appassionante quanto la vita stessa. 


 Mentre cercavo spunti per il Gruppo di Lettura, mi capita sotto gli occhi questo titolo. La prima reazione è stata "QUELLA Bennet???" e subito dopo "Lo voglioooo!!!"

 Non saprei da dove iniziare per parlarvi di questo libro dal momento che ha suscitato in me una serie di sensazioni contrastanti.. Cominciamo da Mary? Ok, tanto di cappello alla McCullough per aver tirato fuori un personaggio della Austen gettato dai più nel dimenticatoio perché, è inutile fingere, di Mary, sorella banale e insignificante, nessuno si ricorda. Ed eccola qui, dopo quasi vent'anni dal felice epilogo trascorsi ad accudire una madre tirannica capricciosa e insulsa, che decide di intraprendere la strada verso l'Indipendenza. Con una mente di per sé molto acuta e ben nutrita da anni di letture poco comuni per una nubile dell'epoca, vivacemente stimolata dalle lettere pubblicate su un giornale locale di un anonimo sovversivo, ma anche forte di una galoppante fantasia e di un pragmatico senso del dovere civile, Mary, una volta morta quella palla al piede della madre, si impunta testardamente nello sfidare le convenzioni sociali, nel vanaglorioso tentativo di dare un senso alla propria vita. Se mai aveste letto la Justine del Marchese de Sade, alcune peripezie di questa trascurata protagonista vi strapperanno più di un sorriso.
Quello che invece mi ha lasciato parecchio amaro in bocca già da pagina 11 è la scelta dell'autrice di infrangere una favola d'amore che ha fatto sognare centinaia di adolescenti dell'ultimo secolo, ovvero quella tra Lizzie e Mr Darcy.. Lo so, lo so, cosa state pensando. Figuratevi io, Presidentessa Autonominata dell'Unofficial Pemberley Fan Club, come mi sono sentita! L'avrei strangolata con uno di quegli scialli di mussolina tanto cari a Lydia! Ma, ovviamente, questa pecca nella trama era necessaria allo svolgimento dell'intera storia e alla fin fine il ricongiungimento rimette tutto nel giusto equilibrio.
Devo riconoscere la capacità della McCullough di dare il giusto tono al carattere di ognuno di questi beneamati personaggi, rielaborando quello a cui diede risalto all'epoca Jane Austen e adeguandolo agli anni che nel frattempo sono trascorsi col loro carico di esperienze, traumi, gioie e dissapori. Jane è ancora la più mite e sensibile, Lydia si riconferma per la sgualdrina che è sempre stata, Kitty frivola e superficiale come da ragazza, Caroline Bingley resa ancora più arpia dal nubilato forzato, Elizabeth sempre orgogliosa e testarda, Darcy colmo di un inspiegabile rancore che, come nell'originale, si addolcirà solo alla fine. Peccato che si parli veramente poco di Mr Bingley e di Georgiana Darcy.
Tutto sommato è interessante la storia in sé e per sé, Mary si rivela essere una donna a tratti ingenua ma che non si dà mai per vinta, ha un cuore d'oro e una grande forza d'animo, è coraggiosa, intraprendente e anticonvenzionale, astuta, perspicace e ironica. Probabilmente se non avessi un attaccamento morboso per Ogoglio e Pregiudizio mi sarei goduta molto di più la lettura, ma mi sento assolutamente di consigliarvi questo romanzo, quantomeno per la curiosità di veder descritti da un'altra penna quei personaggi che hanno entusiasmato migliaia di lettori nel mondo, ma soprattutto per dare il giusto risalto a quella “sorella di mezzo” che è passata per troppo tempo inosservata.