domenica 27 gennaio 2019

Recensione. "Come tessere di un domino" di Zigmunds Skujins, umorismo e storia di un paese sconosciuto

Buongiorno lettori, oggi vi parlo di un libro che ho terminato qualche giorno fa ma di cui, per via di impegni più urgenti, ho dovuto rimandare la recensione. Visto che si tratta di un volume più che valido ho ritenuto doveroso ritagliarmi del tempo tra le incombenze casalinghe domenicali per parlarvene. 


 Trama:
In un antico maniero nei dintorni di Riga vive una famiglia del tutto speciale: il figlio di un’artista circense giramondo e il suo fratellastro giapponese, l’eccentrico nonno che con marsina e cappello a cilindro gestisce un noleggio di carrozze, un misterioso Aviatore e la malinconica Baronessa proprietaria della tenuta, discendente di una casata tedesca del Baltico. È seguendo i destini individuali e fatalmente intrecciati di questa bizzarra comunità che ci ritroviamo immersi nella tumultuosa storia della Lettonia, tra l’alternarsi delle dominazioni nazista e sovietica, la tragica sorte degli ebrei, e il tormentato costruirsi di una nazione che è sempre stata un crocevia di popoli, lingue e culture. Una saga famigliare attraverso le ferite del XX secolo a cui fa da perfetto controcanto l’avventura calviniana di Waltraute von Brüggen, nobildonna tedesca del Settecento che dopo aver perso il marito in guerra ne ritrova solo la metà di sotto, cucita alla parte superiore di un seducente soldato lettone. Richiamandosi l’un l’altra, le due storie si alternano e procedono parallelamente in un incalzante gioco affabulatorio, dando voce a un racconto d’amore, di perdita e desiderio, e a una memorabile allegoria intorno al significato di identità. Capolavoro di uno dei maggiori scrittori baltici del nostro tempo, questo romanzo ha il fascino di un realismo magico in versione lettone, capace di sorprendere, far ridere e riflettere, e di comporre in un domino letterario le tessere sparse della Storia europea.


Devo dire che i libri editi da Iperborea non mi hanno mai deluso e questo in particolare mi ha affascinata dalla prima all'ultima pagina. Vuoi per l'ambientazione inusuale visto che della Lettonia conoscevo solo la capitale e suppergiù la collocazione geografica, vuoi per l'umorismo nordico simile a quello di Paasilinna e Jonasson, vuoi per il duplice livello temporale che mi intrigava mentre cercavo di capire come erano connesse le due storie parallele, fatto sta che si tratta della lettura migliore dell'anno appena iniziato.



La prima vicenda, raccontata retrospettivamente dal protagonista, di cui non si viene a sapere il nome, inizia nel 1939 e copre tutto il ventesimo secolo. Nei primi anni del nazismo il protagonista è un ragazzino, che occupa col nonno, una zia, un fratellastro per metà giapponese, e una Baronessa, la metà di in un antico maniero di Riga, mentre nell'altra metà vive un Aviatore con la sua famiglia. Si tratta di una sfilata di personaggi variopinti (avete in mente i Buendìa di Marquez? Ecco, quel genere lì): il nonno che gestisce un'impresa di noleggio carrozze per matrimoni e funerali ha maniere antiquate, veste sempre con pellegrina, guanti e cilindro; la zia Alma che bada alla casa e si occupa delle faccende domestiche apre bocca solo per offendere la Baronessa; il fratellastro Janis, avuto dalla madre del protagonista con un artista giapponese del circo e recapitato a Riga da un orfanotrofio alla morte della madre come "un pacchetto dalla faccia rotonda", parla poco ma sembra possedere un'insita saggezza millenaria, e vive come un ostacolo il suo essere lettone solo nel cuore e non nell'aspetto; la Baronessa, ultima proprietaria in vita della tenuta che comprende il maniero, è quantomai bizzarra, indossa pantaloni da cavallerizza e stivali alti, fuma sigarette russe e porta cravatte da uomo, ma gira sempre con i capelli arricciati avvolta nel profumo che si sprigiona da piccole fialette, di origini metà tedesche metà ebree, pronta a rinnegare le une o le altre in base al contesto e al potere governante del momento. L'Aviatore, apparentemente un personaggio marginale, risulterà invece verso la fine plasmato su un personaggio storico realmente esistito che ha contribuito allo sterminio degli ebrei in Lettonia per poi fuggire in Sud America in seguito alla disfatta del nazismo. Alla storia di un paese, la Lettonia, stremato dalle dominazioni straniere, (prima il regime dittatoriale russo, poi la Germania nazista con le deportazioni nei campi di concentramento, e ancora l'Unione Sovietica con le deportazioni in Siberia) si affianca quindi una saga familiare che racconta la ricerca di identità del popolo lettone, che rifiuta di riconoscersi nell'invasore e lotta per affermare la propria indipendenza, per lasciare intatte nel tempo la propria lingua, la propria cultura e le proprie tradizioni baltiche.
Parallelamente, nel diciottesimo secolo, la baronessa Waltraute von Bruggen, vedova di guerra, fa parte del seguito del misterioso Cagliostro, Gran Cofto, affabulatore e ciarlatano di mestiere, con pretese di indovino, taumaturgo, esoterista e alchimista presso le corti europee. Nel 1779 lo troviamo nel palazzo di Jelgava, al lume di candela nella stanza degli spiriti, che guarda dentro una palla di cristallo e recita per Waltraute "Il barone vive, ma non può venire da voi. Erano due, adesso è uno solo". E' così che Waltraute si mette in viaggio per Riga per avere dall'esercito informazioni circa la presunta morte del marito; qui riceve una lettera in cui si menziona un altro ufficiale che si trovava con suo marito al momento della morte, Waltraute non si dà pace, crede che la vedova dell'altro barone potrebbe avere informazioni più dettagliate ed essere bisognosa di conforto tanto quanto lei, e parte alla volta della proprietà di tale Bartolomejs Ulste. Quella che la attende però è una storia quanto mai strampalata: il capitano Ulste accoglie in casa la viaggiatrice e le racconta che egli stesso e suo marito sarebbero morti se non fosse stato per il miracolo operato da un talentuoso chirurgo di guerra, tale Gibran. Pare che nel caos dei colpi di mortaio Ulste abbia perso la parte inferiore del corpo e il barone von Bruggen la parte superiore. Fortuna nella sfortuna era lì presente Gibran che, con un colpo di genio, ha cucito insieme le due metà facendo di due uomini uno solo. Nel tentativo di capire cosa resta ancora di suo marito nel corpo dell'affascinante capitano Ulste, Waltraute si lascerà sedurre, con tutta una serie di conseguenze imprevedibili...

Come primo libro lettone pubblicato da Iperborea, sebbene Zigmunds Skujins sia oltremodo famoso nel suo paese, è stata una piacevolissima scoperta. Non è solo un libro di intrattenimento, e nemmeno solo un libro a sfondo storico, si tratta di un magistrale connubio di storia vera e voli di fantasia, condito da tanto humour, riferimenti a personaggi storici avvolti nel mistero, citazioni filosofiche e avventure ai limiti del paradosso. Ho letto con piacere, cosa che accade raramente, anche la postfazione a cura di Margherita Carbonaro, che fa luce sulla storia e sulla cultura di un paese finora rimaste nell'anonimato. 


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