domenica 13 gennaio 2019

Recensione. "L'arminuta", una piacevole inaspettata scoperta

Buongiorno lettori, come potete vedere non sono passate nemmeno 24 ore dall'ultimo post, e questo perché il gioiellino di libro che sto per presentarvi è uno di quelli che si divora in una serata. Un tale concentrato di bellezza che ho paura di sciuparne il pregio con troppe parole a vuoto. Quindi bando alle ciance e proseguiamo.




Trama:
Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia così questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche più care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo sul tavolo. Ma c’è Adriana, che condivide il letto con lei. E c’è Vincenzo, che la guarda come fosse già una donna. E in quello sguardo irrequieto, smaliziato, lei può forse perdersi per cominciare a ritrovarsi. L’accettazione di un doppio abbandono è possibile solo tornando alla fonte a se stessi. 


Ha tredici anni, l'Arminuta, il cui vero nome non viene mai svelato, quando viene riconsegnata, neanche fosse un pacco, alla famiglia di origine, che l'aveva ceduta ancora in fasce a una coppia di parenti alla lontana che non poteva avere figli.
La famiglia adottiva l'aveva strappata alla fame e alla miseria di una famiglia sovraffollata di provincia, dove l'ignoranza la fa da padrone, e lo scopo della vita è mettere in tavola un po' di pane e qualche vegetale.
Ad un certo punto, però, i genitori adottivi, che pure l'hanno allevata in tutti gli agi e le comodità, senza mai farle mancare affetto e comprensione, non possono più tenerla con sé, e devono restituirla alla famiglia biologica.
Inizia qui il percorso dell'Arminuta, davanti alla porta di casa di una famiglia che non sapeva nemmeno esistesse. E' un percorso difficile, in cui le cose che prima riempivano le sue giornate, come il nuoto la danza e le amiche, non hanno più alcun valore. Ora deve rimboccarsi le maniche, aiutare nelle faccende di casa, accudire un neonato con disturbi di crescita, imparare a far da mangiare, arrangiarsi come meglio può e tenere testa a quelli che vogliono sopraffarla perché non accettano la sua diversità.

Nel clima ostile della nuova famiglia, con una madre dai modi bruschi, un padre assente, dei fratelli che considerano un peso una bocca in più da sfamare, l'Arminuta cerca un senso a quello che le è capitato, convinta che quella che ha sempre chiamato "mamma" è solo malata e appena guarita tornerà a riprenderla.



A sostenerla in questo percorso ci sono Adriana, la sorella minore, e Vincenzo, il fratello maggiore. Adriana, 11 anni, i capelli bisunti, magra come un chiodo, ma con un buon senso pratico insospettabile in una bambina, fa della sorella una specie di idolo, una privilegiata da difendere contro le ingiustizie del mondo rurale abruzzese, per non sprecare l'intelligenza e l'educazione che l'hanno elevata al di sopra della loro miseria e che le permetteranno di farsi strada nel mondo, fuori dal paese.
Vincenzo, diciottenne con tutte le pulsioni che l'adolescenza comporta, all'apparenza indurito dalla cruda realtà che lo circonda, ribelle e desideroso di riscattarsi dalla povertà della sua famiglia, si rivela all'Arminuta generoso e amorevole sebbene alla sua maniera rozza, e abbastanza malizioso e spregiudicato da condurla a scoprire la sua identità di donna.
La figura della mamma adottiva, soprattutto nel confronto con la madre biologica che la protagonista mette in atto nella sua testa, è sempre presente, anche da lontano: le fa recapitare un letto nuovo, coperte, abiti, l'occorrente per la scuola. Tuttavia passerà più di un anno prima che l'Arminuta riesca a parlare con lei e a capire il motivo per cui è stata restituita alla famiglia d'origine, e questa scoperta distruggerà tutte le sue speranze di tornare nel clima sereno che l'ha cullata fino ai tredici anni. 
E' una scoperta che ribalta anche in parte il modo di sentire della protagonista il legame madre-figlia: la madre adottiva cade improvvisamente dal suo piedistallo di perfezione, per fare posto a quella madre biologica che, seppure sempre avara di carezze e parole dolci, ha degli episodi amorevoli quel tanto che la sua natura spigolosa permette.

Il filo conduttore del romanzo è quindi la maternità con tutte le sue sfaccettature, l'abbandono, la fragilità dei rapporti familiari. Un tema delicatissimo e che l'autrice elabora con maestria. Il linguaggio è scarno, nudo, senza fronzoli e patetismi, con qualche sprazzo di dialetto abruzzese qua e là che rende i dialoghi più coloriti. Lo stile mi ha ricordato molto quello di Michela Murgia e di Erri De Luca, autori che ho molto amato. L'aspetto che ho apprezzato tantissimo è la costruzione del rapporto tra l'Arminuta e sua sorella Adriana: inizia con un leggero tono di diffidenza, e cresce fino a diventare un patto di reciproca solidarietà che salva la protagonista dalla disperazione, e regala alla sorella una speranza di riscatto mai pensata prima.

L'unico neo, se posso permettermi, è il finale. Mi aspettavo una conclusione, e invece la storia sembra tranciata a metà e lasciata in sospeso. Non so se sia proprio l'effetto voluto dall'autrice, come se avesse voluto dare al lettore il senso di una storia strappata dalla quotidianità, tuttavia mi ha lasciata con un senso di irrisolto.
Nel complesso, comunque, come dicevo all'inizio, un libro che si divora in poche ore, scorrevole, intenso, un piccolo capolavoro. 






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