sabato 20 luglio 2019

Recensione. "Eleanor Oliphant sta benissimo" di Gail Honeyman.

Cari lettori, poche chiacchiere e via con la seconda recensione del giorno che qui i tempi stringono e sono indietro per la Challenge.


Trama:
Mi chiamo Eleanor Oliphant e sto bene, anzi: sto benissimo.
Non bado agli altri. So che spesso mi fissano, sussurrano, girano la testa quando passo. Forse è perché io dico sempre quello che penso. Ma io sorrido. Ho quasi trent’anni e da nove lavoro nello stesso ufficio. In pausa pranzo faccio le parole crociate. Poi torno a casa e mi prendo cura di Polly, la mia piantina: lei ha bisogno di me, e io non ho bisogno di nient’altro. Perché da sola sto bene.
Solo il mercoledì mi inquieta, perché è il giorno in cui arriva la telefonata di mia madre. Mi chiama dalla prigione. Dopo averla sentita, mi accorgo di sfiorare la cicatrice che ho sul volto e ogni cosa mi sembra diversa. Ma non dura molto, perché io non lo permetto.
E se me lo chiedete, infatti, io sto bene. Anzi, benissimo.
O così credevo, fino a oggi.
Perché oggi è successa una cosa nuova. Qualcuno mi ha rivolto un gesto gentile. Il primo della mia vita. E all’improvviso, ho scoperto che il mondo segue delle regole che non conosco. Che gli altri non hanno le mie paure, non cercano a ogni istante di dimenticare il passato. Forse il «tutto» che credevo di avere è precisamente tutto ciò che mi manca. E forse è ora di imparare davvero a stare bene.
Anzi: benissimo.

Miss Oliphant ha trent'anni, e lavora come impiegata contabile in un'agenzia di graphic design da quando ne aveva ventuno. Le sue giornate sono di una piattezza disarmante: otto ore di lavoro senza distrazioni di alcun tipo, un'ora di pausa pranzo a testa china sulle parole crociate del Daily Telegraph ignorando le chiacchiere superficiali dei colleghi, venerdì sera pizza da Tesco e il weekend abbracciata alla bottiglia di Vodka. 

Se qualcuno glielo chiede, Eleanor Oliphant risponde che sta benissimo. Ma mente a se stessa.


Ha modi rigidi e antiquati, e passerebbe inosservata se non fosse per una vistosa cicatrice sulla guancia. Sembra la versione femminile, decisamente meno comica, di Sheldon Cooper. Ma non fermarti all'apparenza come fanno tutti quelli che la incrociano. Le sue ferite più profonde non si vedono.

Ogni mercoledì sera Eleanor riceve la telefonata di sua madre, relegata in un luogo inaccessibile, che scava come una vanga impazzita nelle sue ferite emotive più profonde.

Eleanor attraversa la vita facendo meno rumore possibile, estranea al conformismo e alle convenzioni mondane. Finché, una sera, si prende una sana infatuazione per il cantante figo ed estremamente social di una band locale. Per attirare l'attenzione del belloccio Eleanor si rende conto di doversi adeguare alle consuetudini moderne, e intraprende un cammino alla scoperta di cose che per lei sono rimaste un mistero finora: parrucchiera, estetista, negozi di abiti, cosmetici, Twitter. 

Era così che funzionava, quindi, il successo dell’integrazione sociale? 
Era davvero così semplice? 
Mettiti un po’ di rossetto, vai dalla parrucchiera e alterna gli abiti che indossi? 
Qualcuno dovrebbe scriverci sopra un libro, o almeno un opuscolo esplicativo, 
e trasmettere queste informazioni.
 Avevo ricevuto più attenzione da loro quel giorno 
(attenzione positiva, non malevola, intendo) 
di quanta ne avessi ricevuta negli ultimi anni. 
Sorrisi tra me e me, soddisfatta per avere risolto parte dell’enigma.

L'infatuazione avrà vita breve, ovviamente. Ma nel frattempo Eleanor si troverà affianco qualcuno che è entrato, forse un po' prepotentemente, nella sua vita e le ha dimostrato una sincera e disinteressata gentilezza. Questo collega, pur con i suoi modi un po' rozzi, aprirà una breccia nella riservatezza di Eleanor e la accompagnerà per mano a far luce sulla verità della sua infanzia che la sua mente, devastata da un trauma di proporzioni inimmaginabili, ha rimosso.


Sentivo il calore nel punto in cui si era posata la sua mano: 
era stato solo un momento ma aveva lasciato un'impronta calda, 
quasi come se fosse stata visibile. 
Una mano umana aveva esattamente il peso giusto e la temperatura giusta 
per toccare un'altra persona

Nel romanzo vediamo davvero Eleanor crescere e cambiare, imparare ad accettare l'aiuto degli altri e godere della soddisfazione di essere a propria volta d'aiuto per gli altri. Inizierà a disintossicarsi dalla vodka, a vedere una psicologa, a prendersi cura di un gatto. Insomma uscirà dalla sua crisalide e diventerà più indulgente verso gli altri e soprattutto verso se stessa, verso quelle debolezze che si incarnano nella voce aspra di sua madre il mercoledì sera. 


Gail Honeyman ha creato un'antieroina che in certi momenti fa sorridere per essere così sprovveduta dove noi ci sentiamo dei giganti, e in certi momenti irrita per il suo ostinarsi a essere così "fuori dal mondo". Quando ho sentito parlare di questo libro ho tergiversato un po', per paura di ritrovarmi davanti a una certa crudezza su un tema delicato come la depressione, sul genere di Gillian Flynn

Invece devo dire che questa patologia viene analizzata minutamente, ma con estrema delicatezza. Credo che scegliere di narrare dal punto di vista di Eleanor, inoltre, sia stata un'ottima decisione. Con tutta la sua reticenza e le sue difficoltà a relazionarsi, il suo modo di vedere le cose da una prospettiva diversa dal solito mette in ridicolo gran parte delle convenzioni sociali a cui ci sottomettiamo, volenti o nolenti, tutti i giorni.

A volte le persone popolari devono ridere di cose che non trovano molto divertenti, 
devono fare cose cui non tengono particolarmente, 
con gente di cui non apprezzano particolarmente la compagnia. 
Io no. 
Anni prima avevo deciso che se la scelta fosse stata tra fare così o volare in solitaria, 
allora avrei volato in solitaria

E se tutti noi iniziassimo a dire, senza filtri e senza falsa ipocrisia, quello che pensiamo? Saremmo dei folli? O il mondo sarebbe un posto migliore?







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