mercoledì 27 febbraio 2019

Recensione. "Le avventure di Tom Sawyer" di Mark Twain, per tornare un po' bambini.

Buonasera cari lettori, il tempo vola e io bisogna che mi affretti a parlarvi della mia ultima lettura.
Quando le Ciambelle mi hanno appioppato l'obiettivo "leggi un libro per ragazzi" sono andata nel panico, visto che la narrativa per ragazzi in genere non è nelle mie corde. Le mie opzioni erano piuttosto limitate e non nego che avrei preferito leggere "Alice nel paese delle meraviglie", ma l'unica versione di Alice che ho reperito sabato mattina in biblioteca era una versione dedicata a un pubblico moooooooolto giovane, cosa che io non sono più da un pezzo, eh eh. 
Quindi mi sono buttata su Twain, che almeno c'era una copia destinata al pubblico adulto.
Una sola parola: esilarante.

recensione le avventure di tom sawyer di mark twain
Trama:
Come lo stesso autore scrisse, il racconto raccoglie molte vicende veramente accadute, esperienze personali e altre di ragazzi che furono compagni di scuola di Mark Twain. La storia s'impernia sulla vicenda capitata ai due amici Huck e Tom, andati a seppellire un gatto a mezzanotte nel cimitero del villaggio. Nel cimitero i nostri eroi, quella notte, sono gli invisibili testimoni d'un assassinio. Twain dedicava il libro ad un vasto pubblico di lettori giovani per ricordar loro quelli che essi erano un tempo e come sentivano e pensavano e parlavano e in quali strane avventure talvolta andassero a cacciarsi.





Ma quante ne combina questo birbantello di Tom Sawyer? 

Scappa per una settimana con Joe e Huck su un'isoletta sul Mississippi per fare il pirata, facendosi credere morto dal resto della città e riapparendo in chiesa durante il suo presunto funerale; si nasconde di notte dentro un cimitero, assiste a un omicidio e testimonia contro Joe l'indiano durante il processo; si perde con Becky nei meandri di una grotta morendo quasi di fame per poi spuntarne fuori giorni dopo col metodo del "filo di Arianna", e infine trova addirittura un tesoro nascosto. 
Io l'ho immaginato come il Bart Simpson del diciannovesimo secolo.





Fin dalle prime righe le sue maniere risultano evidenti: è un ragazzetto vivace, iperattivo direi, che ama fare scherzi e birichinate, e che, spesso senza volerlo, fa disperare la zia Polly che lo vorrebbe più mansueto, educato e rispettoso dei principi cristiani. In aperta contrapposizione con il fratello Sid, il secchione spione (vedi Lisa Simpson), e con la cugina Mary, tutta carità cristiana e precetti generosi, Tom riesce sempre a inventarsi scuse e storielle per evitare la scuola e le lezioni di religione, per scansare i doveri e le punizioni, e per prendersi gioco degli adulti e dei suoi coetanei. A volte può dare l'impressione di essere poco intelligente, ma i miei appunti dicono "deficit di attenzione?". Può darsi, perché in fondo è abbastanza scaltro per togliersi sempre dai guai, ad esempio quando, obbligato dalla zia Polly a riverniciare la staccionata per punizione, riesce a convincere tutti i suoi amici a farlo al posto suo semplicemente insinuando che loro non ne sarebbero capaci, e riuscendo addirittura a farsi pagare da loro per farlo.

Senza rendersene conto aveva scoperto una grande legge della natura umana,
e cioè che per indurre un uomo o un ragazzo a desiderare una cosa,
basta presentargliela come difficile da conseguire.
Se fosse stato un grande e saggio filosofo,
come lo scrittore di questo libro,
avrebbe capito che il Lavoro consiste in tutto ciò che si è costretti a fare,
e il Gioco consiste in qualsiasi cosa non si è costretti a fare.




Oltre a tutto ciò Tom è anche molto generoso, dotato di una fervida immaginazione nell'inventare giochi ispirati ai romanzi d'avventura del suo tempo (Robin Hood, il Corsaro Nero), a volte un tantino melodrammatico per la sua età, spesso non apprezza quello che possiede, incolpa gli altri di non volergli abbastanza bene ma senza analizzare i suoi stessi difetti e le sue colpe, e tuttavia si scioglie come neve al sole quando si innamora della piccola Becky Thatcher. 
Tutti i personaggi, comunque, a modo loro sono una macchietta. La zia Polly è il cliché della bigotta americana di fine ottocento, Huck Finn è il reietto della società ma è anche l'idolo dei suoi coetanei per il suo modo di vivere senza sottostare a nessuna regola della civiltà, Joe l'indiano è l'incarnazione della crudeltà e della cattiveria fine a se stessa, i maestri sono degli esseri di mezza età senza altra ambizione che non sia bacchettare e frustare i poveri alunni, il giudice è una creatura augusta cui tributare il timore più reverenziale, i neri sono tutti schiavi e sono esseri inferiori, e via dicendo, in una variopinta successione di personaggi che offrono al lettore un affresco sociale intriso di ironia.

Aldilà dei personaggi questo romanzo mi è piaciuto tanto perché mi ha riportato con la memoria agli anni della mia fanciullezza, quando costruivamo case sugli alberi, mangiavamo i fichi e i gelsi direttamente dalle piante, ci sfidavamo a entrare nelle case "stregate" e inventavamo mappe alla ricerca di tesori nascosti. Ho ritrovato tra queste pagine il profumo della mia giovinezza spensierata, e questo è un dettaglio che mi ha conquistata.

Pensare alla pochezza dei nostri giocattoli: un rotolo di spago, soldatini di stagno, pezzi di corteccia, gessetti colorati e biglie, e con questi piccoli tesori inventavamo giochi che davano libero sfogo a tutta la nostra immaginazione e di cui non ci stancavamo mai.

I due ragazzi se ne andarono, lamentando che non ci fossero più banditi,
e chiedendosi quali meriti potesse vantare la civiltà moderna,
per farsi perdonare il crimine di averli eliminati.
Avrebbero preferito fare i banditi, anche un anno solo,
nella foresta di Sherwood, che il Presidente degli Stati Uniti tutta la vita.

Mark Twain ha la capacità di ricreare l'atmosfera goliardica e spensierata della gioventù, alternando dialoghi e descrizioni in maniera impeccabile, dando al lettore l'impressione di stare osservando davvero la natura selvaggia e incontaminata del luogo, infilando qua e là bizzarre tradizioni e superstizioni da sganasciarsi dalle risate, ed enunciando delle verità universali talmente ovvie che solo attraverso il suo pungente sarcasmo fanno riflettere davvero sull'ipocrisia della cosiddetta società civile.

Altra nota positiva, almeno per quel che riguarda l'edizione che ho letto, tradotta da Enzo Giachino per Einaudi, è che il testo è scorrevolissimo, il linguaggio è piacevole e per niente antiquato.
Sebbene classificato come romanzo per ragazzi, mi sono tuttavia chiesta spesso, tra una pagina e l'altra, se è bene che un giovincello apprenda tutti i giochetti mentali che Tom Sawyer usa per farsi beffe dell'autorevolezza degli adulti. 







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