Buongiorno lettori, finalmente è venerdì, e soprattutto finalmente si avvicina la primavera. Ma, dato che io non sono una di quelle che si lascia influenzare dal meteo nella scelta delle atmosfere letterarie in cui immergersi, nonostante il sole oggi torno a parlarvi di noir e thriller.
Dovete sapere che durante le feste natalizie avevo divorato una carrellata di thriller e horror (L'incubo di Hill House di Shirley Jackson, Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, Mucchio d'ossa di Stephen King, Rosemary's baby di Ira Levin), che, per ribadire ciò che dicevo poc'anzi, non c'entravano affatto con il clima natalizio, ma tant'è.
Come da mia abitudine, mi ero segnata i titoli di altri libri citati all'interno di quelli che stavo leggendo, e oggi vi parlo proprio del libro citato dal Re nel suo Mucchio d'ossa.
Rebecca è morta. ma Maxim De Winter sembra incapace di dimenticarla. Come tutti quelli che la conoscevano, del resto. E' una sorpresa amara per la nuova signora De Winter, la seconda moglie di Maxim, che, appena arrivata a Manderley, piena di speranze e di amore, si trova a dover combattere da sola contro le ingombranti ombre del passato. L'impalpabile, angosciosa presenza di Rebecca si fa sentire ogni giorno più forte. Rebecca, la prima moglie, è un incubo che soltanto l'ultima, imprevedibile rivelazione potrà cancellare. Amore e mistero, malvagità e gelosia in una delle storie più romantiche del Novecento. Il capolavoro da cui Alfred Hitchcok trasse un indimenticabile film.
La protagonista narra retrospettivamente la sua singolare esperienza matrimoniale, partendo dal primo incontro a Montecarlo: qui si trova in veste di dama di compagnia della signora Van Hopper, una donna orribile, snob pettegola e curiosa, che tende trappole alle personalità mondane con pretesti insulsi, solo per il gusto di poter dire, poi, di averci parlato, giocato a bridge, o di essere stata invitata a una delle loro grandiose feste. La nostra protagonista è un uccellino spaurito, che si vergogna enormemente della propria posizione e degli atteggiamenti della Van Hopper: mi ha dato l'impressione di una persona che attraversa il mondo in punta di piedi, per non far rumore, per non disturbare; è solo una signorina orfana di buona famiglia che non ha ancora visto niente del mondo, quando a Montecarlo incontra Maxim De Winter, vedovo da poco, proprietario di un'immensa magione in Inghilterra. La Van Hopper non può lasciarsi scappare un'occasione così ghiotta, gioca subito le sue carte e lancia un'esca per prendere il tè insieme al ricco vedovo; sfortunatamente per lei, però, una brutta influenza la costringe a letto per diverse settimane, e durante quel periodo la protagonista e Maxim approfondiscono la reciproca conoscenza. Come in una delle più belle fiabe, quando per il nostro uccellino spaurito viene il momento di far le valigie e partire alla volta dell'America con l'insopportabile signora Van Hopper, Maxim De Winter interviene e chiede la sua mano.
Sembrava tutto rose e fiori per la protagonista, durante la luna di miele a Venezia, mano nella mano con Maxim, mentre sognava a occhi aperti il suo nuovo ruolo di signora di Manderley, e invece la sua vita coniugale si rivela di tutt'altro genere.
Rebecca, la prima moglie di Maxim, è morta in circostanze misteriose durante una gita notturna in barca meno di un anno prima, e tutti a Manderley e dintorni, dalla servitù ai ricchi vicini, non fanno che rammentarne la bellezza, la vivacità, lo spirito avventuriero, la maestria nel dirigere la magione e nell'organizzare feste, il gusto nell'arredamento. Insomma Rebecca sembra perfetta, e la protagonista si trova a dover rivaleggiare con il fantasma della moglie morta.
Piccole cose prive di senso, ma io le vedevo, le udivo, le sentivo.
Io non volevo pensare a Rebecca, non desideravo che di essere felice
e rendere felice Maxim. Non c'era altro desiderio nel mio cuore.
Ma che potevo fare, se ella mi perseguitava nei miei pensieri, nei miei sogni?
Che potevo fare se a Manderley, che pure era la mia casa,
io mi sentivo come un'ospite che non attendesse altro
se non il ritorno della padrona di casa?
Tanto più che il suo nemico più ostico se lo ritrova proprio in casa: la governante, Mrs Danvers. La Danvers ha allevato Rebecca fin dalla giovinezza ed è rimasta morbosamente aggrappata al suo ricordo: detesta apertamente e senza ipocrisie la nuova signora De Winter e cerca in ogni modo di metterle i bastoni fra le ruote. Come se ciò non bastasse, anche Maxim alza una barriera di silenzio e segreti nei confronti della nuova moglie: è taciturno e pensieroso, per cui la protagonista si convince che egli ami ancora Rebecca, la rimpianga amaramente e che non potrà mai essere veramente felice al fianco della seconda moglie, un misero surrogato dello splendore ch'era Rebecca.
Gran parte del romanzo è incentrato sull'introspezione psicologica che la protagonista fa di se stessa a posteriori. Il suo nome di battesimo non viene mai citato, e questo mi ha dato davvero la sensazione dell'ossessione che credo l'autrice volesse comunicare. Tutti sono ossessionati da Rebecca e dal suo ricordo, compresa la protagonista, che tra le altre cose possiede una fervida immaginazione, al punto che ricostruisce nella sua mente scene di una perfetta felicità coniugale tra Rebecca e Maxim, col risultato di farsi un'idea di se stessa ancora più insignificante e banale di quanto non sia in realtà, e dunque facendosi solo del male inutilmente.
Egli non m'avrebbe mai amata, perché c'era Rebecca.
Come aveva detto la Danvers, ella era nell'ala a ponente,
nella biblioteca, nella stanza a mattina, nella galleria dei menestrelli.
Nella cameretta dei fiori, dov'era appeso il suo impermeabile.
E nel giardino, e nei boschi, e nella casetta sulla spiaggia.
I suoi passi risonavano per i corridoi, il suo profumo impregnava l'aria.
La servitù obbediva ancora ai suoi ordini,
i cibi che mangiavamo erano i suoi preferiti.
I suoi fiori prediletti ornavano le stanze.
Rebecca era ancora padrona di Manderley.
La signora de Winter era ancora Rebecca.
Ho provato sentimenti altalenanti nei confronti di questa ragazzina timida e oppressa dalle convenzioni, sempre timorosa delle chiacchiere e dei pettegolezzi, timorosa di darsi un contegno severo nei confronti della servitù. Per ben due volte si paragona a un cane che attende le carezze distratte e accondiscendenti del padrone (vedi marito), e sarei voluta entrare nel libro per darle una scrollata e dirle di darsi una svegliata, ma è un personaggio che fa anche tanta tenerezza.
Avrei voluto non esser trattata sempre come una bambina;
una bambina un poco viziata, un poco irresponsabile
delle proprie azioni, che si accarezza quando se ne ha voglia,
ma che più spesso si dimentica,
dopo averle dato una pacca sulla spalla
e detto di andarsene a giocare in giardino
Mrs Danvers è piuttosto inquietante ma non tanto quanto mi aspettavo; con il personaggio di Maxim non sono riuscita a entrare in sintonia, l'ho percepito un po' artificioso nei discorsi e nelle azioni, soprattutto dopo che svela alla protagonista il più inconfessabile dei segreti. Insomma quando parlava poco lo potevo anche capire mettendomi nei panni della protagonista, ma quando inizia a parlare e a dimostrare l'affetto che si era tenuto tutto dentro mi è un po' caduto dal cuore.
Le scene descrittive sono molto evocative, sia quelle dell'interno della casa, sia quelle del paesaggio. I rumori del mare e i colori dei fiori, in particolar modo, si adattano benissimo alle note cupe, malinconiche e struggenti che caratterizzano lo stato d'animo della protagonista nei momenti cruciali. Ma anche Manderley, la grossa magione, ha un ruolo tutto suo in questo libro: la sua pace, la quiete dei suoi boschi, i ritmi della servitù e i rituali dei pasti e del tè, l'architettura, sono tanti piccoli dettagli che completano un quadro descrittivo molto ricco.
La pace di Manderley non poteva esser turbata,
né distrutta la sua bellezza.
Chi mai avrebbe osato far del male a Manderley?
Come una gemma incantata avrebbe continuato a vivere
nella corona della sua valle, custodito dai boschi,
mentre il mare s'infrangeva e si ritraeva
e tornava a infrangersi sul lido della piccola baia..
Altra cosa degna di nota è che, nonostante la narrazione sia già piuttosto avvincente di suo, nelle ultime cento pagine è tutto un susseguirsi di colpi di scena che fanno restare col fiato sospeso fino alla fine, ribaltando completamente i ruoli in alcuni casi.
Rebecca, infatti, non era poi così perfetta come tutti volevano farvi credere.
Si tratta di un romanzo che non si può semplicemente incasellare in un unico genere letterario, dal momento che l'autrice può vantare una scrittura eccellente su più fronti: certo la componente noir la fa da padrone, ma ho trovato impeccabile l'approfondimento psicologico della protagonista, la descrizione paesaggistica e botanica è accuratissima, vi sono nozioni di tecnica della navigazione insospettabili per me in una donna degli anni '30, e il linguaggio, per quanto un po' antiquato, è fluido e comprensibile.
Un prolungamento di una solida eredità di donne dedite alla narrativa noir, del calibro di Ann Radcliffe (I misteri di Udolpho), Jane Austen (L'abbazia di Northanger) e Charlotte Bronte (Jane Eyre), che mi sento assolutamente di consigliarvi a pieni voti.
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