sabato 7 gennaio 2017

Un esempio di inciviltà, "La lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne

Ben ritrovati lettori in questo ultimo weekend prima della normale ripresa della routine post natalizia. Oggi vi parlo di un grande classico della letteratura americana, che casca a fagiuolo per le due Challenge a cui ho deciso di partecipare, la Hunting Word Challenge e La Ruota delle Letture.



Trama:
Ambientato nel New England puritano nel XVII secolo, il romanzo racconta la storia di Hester Prynne, una donna che, dopo aver dato alla luce una bimba, frutto di una relazione adulterina, rifiuta di rivelare chi è il padre e lotta per crearsi una nuova vita di pentimento e dignità. La lettera scarlatta è la A che per punizione ogni adultera deve portare cucita sul petto e che "marchia" in modo indelebile le azioni e la coscienza della protagonista, stretta in un patologico triangolo con il marito e con l'antico seduttore in un crescendo di tensione, sofferenza, angoscia






La scelta dell'immagine del libro non è casuale: si tratta proprio dell'edizione del 1968 di F.lli Fabbri Editori che possiedo, ricevuta in dono pareeeecchi anni fa e che mia madre aveva letto da ragazza. Il fatto di rileggere questo libro ha un po' influenzato la mia lettura anche se  non mi ha tolto il piacere di gustare questo ottimo romanzo.

La storia è piuttosto nota, ormai, avendo ispirato più di un film o sceneggiato., ma vi rinfresco la memoria. La narrazione si apre sulla piazza del mercato e la prigione, da cui esce Hester Prynne con in braccio la sua creatura nata da una relazione adulterina: suo marito infatti, il rinomato medico e studioso sempre in viaggio per le sue ricerche, nei due anni passati da quando Hester ha messo piede per la prima volta a Boston non è mai stato visto. Hester si rifiuta ostinatamente di rivelare l'identità del padre della creatura e, data l'attenuante dell'assenza del marito tanto prolungata da crederlo morto, la giustizia cittadina si "limita" a obbligare la donna a portare vita natural durante una grossa A (che sta per adultera) di stoffa rossa cucita sul petto.

Messa sulla piattaforma della gogna ed esposta al pubblico ludibrio per alcune ore come esempio per i peccatori, Hester nota tra il pubblico una figura familiare: suo marito, dato per morto, è tornato a Boston. Il contegno dell'uomo, dopo essersi fatto spiegare da un vicino la colpa di Hester, rimane però dignitoso e distaccato dalla figura che sul palco sta subendo lo sguardo e i commenti dei cittadini scandalizzati. Come lui stesso spiega più tardi a Hester nella cella in cui lei deve rimanere per qualche giorno, non ha intenzione di farsi conoscere col suo vero nome e patire il pubblico disonore: d'ora in poi lui sarà conosciuto come il medico Roger Chillingworth e il suo unico scopo di vita sarà scoprire l'identità di colui che ha disonorato il suo matrimonio e avere la sua vendetta. Hester, per il bene di colui che segretamente ama e sperando di sollevarlo da un'angoscia simile alla sua, accetta di mantenere il silenzio sulla vera identità di Roger Chillingworth. Da questo punto in poi il libro sorvola velocemente sugli anni che passano e, più che un'accurata narrazione di eventi e dialoghi, diventa una sottile e arguta analisi dell'angoscia, del peccato, della colpa.

Da un lato Hester Prynne vive la sua condanna con un senso di pacifico fatalismo, seppellendo la sua femminilità e la sua grazia dietro quell'unico simbolo infamante che la rappresenta nella società e che la rende una reietta, mentre cerca di crescere sua figlia Pearl nel massimo rispetto delle leggi sociali e religiose, si guadagna il pane onestamente col lavoro del cucito e fa beneficenza per i poveri e i moribondi. D'altro canto l'aspetto esteriore di Roger Chillingworth, nei suoi intenti per nulla dettati dalla misericordia, viene trasfigurato completamente dalla sua influenza malefica, accentuando le rughe, la deformità delle spalle, la malignità nello sguardo, e dandogli un sorriso raccapricciante. Dopo pochi capitoli il lettore viene infatti a conoscenza del fatto che il padre della piccola Pearl è Arthur Dimmesdale, uno stimato pastore della cittadina, divorato dal senso di colpa: anche in lui l'aspetto esteriore porta i segni del rimorso; per questo Chillingworth, con la scusa di curarlo da una malattia non ben definita, non fa che aumentare il suo malessere con la sua eterna presenza, che il reverendo, tanto sensibile per natura, avverte come diabolica senza riuscire a spiegarsene il motivo.

Questo romanzo, che per decenni dopo la pubblicazione ha tanto scandalizzato l'opinione pubblica per il semplice motivo di trattare l'adulterio e per di più commesso da un uomo di Chiesa, io l'ho trovato piuttosto una denuncia della morale puritana al tempo delle prime colonie inglesi in America. Infatti, come lo stesso autore sottolinea negli ultimi capitoli, nelle nuove colonie i personaggi di spicco sociale come il governatore e i magistrati, si auto conferivano un'autorità smisurata e imponevano una rigida morale, rinnegavano lo sfarzo che contraddistingueva invece la vecchia cara Londra e facevano calare su tutto ciò che faceva parte della normale vita quotidiana un grigiore e una malinconia senza pari.

Lo stile narrativo è complesso, come si addice a un qualunque scrittore del diciannovesimo secolo, e probabilmente le descrizioni della piccola Pearl sono un po' troppo intrise di superstizione, caratterizzandola con un'intelligenza e un'arguzia che una bimbetta di sette anni non potrebbe avere. Tuttavia non si può non simpatizzare con Hester per la sua pena, come non si può non provare irritazione per la vigliaccheria di padre Dimmesdale e repulsione per Chillingworth.

Non vi svelo altro della trama perché vi rovinerei il finale ma quello che mi è rimasto di questo romanzo è un'immensa malinconia per quello che erano costrette a subire le donne, ma anche gli amanti illegittimi, in una società tanto rozza, dove la legge degli uomini invariabilmente era sottomessa a una male interpretata legge divina.
















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