La strega di Pieverossa

Snob e bionda con un filo di follia

domenica 22 settembre 2019

Bibliografia a tema. "STRUMENTI MUSICALI NEL TITOLO"


"Il tamburo di latta", Gunter Glass. 604 pagg. 
Romanzo epocale, "Il tamburo di latta" compie cinquant'anni e conserva tutta la sua carica provocatoria. In modo umoristico e grottesco, narra la vicenda del protagonista Oskar Matzerath, il tamburino inseparabile dal suo tamburo e con una voce potentissima che manda in frantumi i vetri. Dal manicomio dove è rinchiuso Oskar rievoca la propria storia, indissolubilmente intrecciata alla storia tedesca della prima metà del Novecento. Scorrono così nel fiume del suo racconto immagini memorabili, a partire da fatti leggendari come il concepimento e la nascita della madre sotto le quattro gonne della nonna, passando per la sua venuta al mondo ricca di presagi, fino all'ascesa irresistibile del nazismo e al crollo della Germania. È stato nel giorno del suo terzo compleanno che Oskar, in odio alla famiglia, al padre, alla società ipocrita, ha deciso di non crescere più. Da quell'osservatorio particolare che è la città polacco-tedesca di Danzica e poi da Düsseldorf, grazie alla sua prospettiva anomala di nano, può guardare al mondo degli uomini dal basso e scorgerne così meglio le miserie e gli orrori, mentre la sua deformità si staglia contro la ripugnanza della normalità piccolo-borghese. Con occhi disincantati e spalancati sulla ferocia e violenza del mondo grida una rabbia che non risparmia la viltà e la corruzione di nessuno, neppure le proprie

"Il mandolino del capitano Corelli", Louis De Bernieres. 443 pagg.
Grecia, seconda guerra mondiale. L'occupazione alleata dell'isola di Cefalonia sconvolge la vita degli abitanti e soprattutto quella del dottor Iannis e di sua figlia, l'orgogliosa e volitiva Pelagia, che si vedono costretti a ospitare nella loro casa un capitano italiano, Antonio Corelli. Dapprima bandito dalla vita del paese, Antonio a poco a poco si dimostra simpatico e socievole, più devoto al suo mandolino che non alle armi. E quando le lettere che Pelagia scrive al fidanzato non trovano risposta, l'amore con il giovane ufficiale sembra inevitabile, ma la guerra romperà ancora una volta ogni geometria.

"L'arpa d'erba", Truman Capote. 116 pagg.
Questo romanzo narra di un ritorno agli anni dell'infanzia, quando il giovane Truman, orfano di madre, viene affidato a due zitelle, Verena e Dolly Talbo, che vivono in un piccolo paese del Sud degli Stati Uniti. "Senti?", gli dice Dolly in una bella giornata di settembre, nel bosco, "è l'arpa d'erba, che racconta qualche storia. Conosce la storia di tutta la gente della collina, di tutta la gente che è vissuta, e quando saremo morti racconterà anche la nostra". Tocca al piccolo Truman raccogliere per noi la voce dell'arpa d'erba, tra realtà e sogni infantili, pettegolezzi e crudeltà di paese, grandi amori e accecanti passioni, in uno sguardo commosso verso il passato e pieno di speranze nel futuro.

"L'arpa di Davita", Chaim Potok. 361 pagg.
È un anno cruciale quello in cui Davita a otto anni comincia a farsi un'idea del mondo: l'America si lascia alle spalle la crisi del '29 e i suoi genitori, intellettuali impegnati a sinistra, sognano l'avvento di una società più giusta. Ma l'affermazione del fascismo e del nazismo in Europa spegne ogni ottimismo. Davita adolescente si accosterà all'ebraismo, la religione della sua famiglia, scoprendovi non un rifugio consolatorio, ma una chiave per capire il mondo.

"La voce del violino", Andrea camilleri. 222 pagg.
"Il commissario invece era di Catania, di nome faceva Salvo Montalbano, e quando voleva capire una cosa, la capiva. " Quarta inchiesta per Salvo Montalbano, 'il Maigret siciliano' di stanza a Vigàta, "il centro più inventato della Sicilia più tipica". Questa volta Montalbano deve trovare il colpevole dell'omicidio di una bella signora vigatese, assassinata nella sua villa. Ma i problemi di vita privata non sono meno spinosi per il commissario: c'è la questione del figlio adottivo e quella dell'eterna fidanzata Livia, che punta decisa al matrimonio...

"Il violino nero", Maxence Fermine. 143 pagg.
È la fine del XVII secolo. Johannes, genio musicale precoce, rimane ferito nel corso della campagna napoleonica in Italia. Accolto e curato dal liutaio Erasmus, il giovane apprende nuove notizie su Carla Farenzi, una misteriosa dama fugacemente incontrata tempo prima. Il liutaio gli rivela poi il segreto di un violino nero, da lui stesso costruito, che canta con la voce suadente e incantatrice della donna. Dopo averlo sentito suonare la vita di Johannes, come uomo e come artista, resterà incatenata a quella di Carla Farenzi.

"Lezioni di piano", Jane Campion. 195 pagg.
Ada, la pianista muta, il marito Stewart e l'amante Baines. Tutti e tre sono vittime di una forza soggiogante, quella dell'eros, che non sono preparati ad affrontare: soprattutto in un mondo come la Nuova Zelanda del diciannovesimo secolo, lontano e selvaggio, autoritario e fuori da ogni legge. Ma le immagini per quanto seducenti, non hanno esaurito tutte le passioni compresse dentro di loro. Lezioni di piano è la storia di una donna che non scende a compromessi - una vera e propria eroina della volontà, fin da quando, a sei anni, ha deciso di non parlare più - e che scopre come il linguaggio dei corpi sia equivalente a quello della musica.Tra silenzio e allusione, questo libro colma un vuoto nella sconfortante mancanza di personaggi memorabili che affligge tanta letteratura contemporanea. E mostra come sia ancora possibile creare storie senza dover inchinarsi alle mode, ed esplorare l'erotismo evitando il sensazionalismo

"L'accordatore di piano", Daniel Mason. 350 pagg.
1886, autunno. L'accordatore di piano Edgar Drake riceve una strana richiesta dal Ministero della Guerra britannico: deve lasciare sua moglie e la sua tranquilla vita londinese per trasferirsi nella giungla birmana e accordare un raro esemplare di pianoforte Erard. Lo strumento appartiene al colonnello medico Carroll, comandante dai metodi poco ortodossi di un avamposto dell'esercito inglese in una zona sperduta e ostile della Birmania. Nel suo viaggio attraverso l'Europa, il Mar Rosso e l'India, Edgar Drake incontra strani e coloriti personaggi, tra cui una maliosa birmana che pare conoscere l'enigma di Carroll. Una Birmania oscura e densa di pathos fa da sfondo ai risvolti più intensi della tortuosa vicenda, in cui il prezioso pianoforte finisce con l'essere pretestuosa ragione del romanzo.


Bibliografia a tema. "MESTIERI NEL TITOLO"


"Il dottor Pascal", Emile Zola. 336 pagg. 
Pubblicato da Zola nel 1893, il romanzo "Il dottar Pascal" costituisce il vero e proprio testo "teorico" del ciclo dei Rougon-Macquart, che comprende fra gli altri "Germinal" e "II ventre di Parigi". Pascal è fratello di Eugène, che è salito nella vita politica fino alla carica di ministro, e di Saccard, che si è arricchito con le speculazioni immobiliari e borsistiche. Medico e genetista ante litteram, Pascal ha accumulato tutta la documentazione relativa all'albero genealogico della famiglia cui appartiene; e la esamina sulla base dei principi scientifici del naturalismo di Zola, studioso di Darwin e Weismann. Convinto sostenitore del ruolo dell'ereditarietà nella determinazione dei tratti fisiologici e di carattere, Pascal avverte anche dentro di sé la tara che ha condotto alcuni suoi parenti alla follia o al crimine.


"L'ultimo amore del presidente", Andrei Kurkov. 513 pagg.

Mosca, 2013. Sergei Bunin sta sorseggiando vodka in una piscina d'acqua gelida, in compagnia di Putin. Sergei è il presidente dell'Ucraina e sta festeggiando, come tutti i più importanti capi di stato, il secondo bicentenario della dinastia Romanov. Niente nel suo passato avrebbe lasciato sospettare che proprio lui, proveniente da una famiglia povera e modesta, sarebbe potuto arrivare alla più alta carica dello stato. Eppure, dopo un percorso di studi non proprio prestigioso, un fratello gemello con problemi psichici da gestire, e un po' troppo alcol, Sergei ce l'ha fatta. La sua ascesa politica è stata improvvisa, sorprendente, priva di colpi bassi e ambizioni personali, decisa alle sue spalle da oscuri personaggi della politica, che avevano bisogno di una persona malleabile, da manovrare come un burattino. Ma nel tempo Sergei ha imparato a farsi furbo, ha capito che non deve fidarsi di niente e di nessuno, che non è possibile aiutare il prossimo, e ancora meno un intero paese, anche se si è il presidente. Soprattutto da quando, dopo un infarto, gli è stato trapiantato il cuore di un altro, un cuore molto sospetto, pronto a tradirlo in ogni istante...


"Il birraio di Preston", Andrea Camilleri. 248 pagg.

Si capisce, leggendo Camilleri, che il suo piacere letterario maggiore, raccontando vicende della provincia siciliana (fatti veri su cui trama e ordisce la finzione, e quindi in sé semplici se non fossero intricate dall'essere appunto siciliane), è quello di riportare il dialogo vivo. È un piacere che si comunica immediatamente al lettore, per la particolare forza comica dell'arte di Camilleri; ma assieme al piacere, poiché il linguaggio è la casa dell'essere, e con la stessa forza e immediatezza, si comunica una specie di nucleo di verità dell'essere siciliano. L'iperbole e il paradosso della battuta, cui corrispondono l'amara coscienza dell'assurdo in cui siamo e il dolore sordo per l'immutabilità di questa condizione. Camilleri inventa poco delle vicende che trasforma sulla pagina in vorticosi caroselli di persone e fatti - qui il fatto vero, conosciuto dalla celebre Inchiesta sulle condizioni della Sicilia del 1875-76, è il susseguirsi di intrighi, delitti e tumulti seguiti alla incomprensibile determinazione del prefetto di Caltanissetta, il toscano Bortuzzi, di inaugurare il teatro di Caltanissetta con una sconosciuta opera lirica, Il birraio di Preston. E anche in questo attenersi al fondo di verità storica c'è probabilmente un senso preciso: in Sicilia non serve attendere che la storia si ripeta per avere la farsa. La storia, per i siciliani, si presenta subito, al suo primo apparire, con la smorfia violenta e assurda della farsa.


"L'esploratore Voss", Patrick White. 485 pagg.

L'esploratore tedesco Ludwig Leichhardt partì nel 1848 verso l'interno dell'Australia, dove si smarrì senza fare ritorno. Ispirata alla vicenda di Leichhardt è quella di Johann Voss, protagonista di questo romanzo di straordinaria intensità drammatica. Voss è un volitivo avventuriero, un megalomane spinto dalla propria natura a un'impresa azzardata - l'attraversamento del continente - che diventa ricerca di sé e del senso dell'universo; un viaggio mistico che non approda alla conoscenza e alla scoperta ma si tramuta in educazione alla sofferenza. Novello Orfeo, persi i contatti con la sua Euridice, la sensibile e indomita Laura Trevelyan, Voss finirà inghiottito dal "mondo infero" della boscaglia e del deserto, diventando un'icona della storia e della leggenda del continente australiano. Introduzione di Thomas Keneally.


"La bottega dell'antiquario", Charles Dickens. 656 pagg.

La bottega dell'antiquario, lavoro ricco di pagine e personaggi memorabili, appartiene alla categoria delle opere maggiori di Charles Dickens. Perseguitati dal malefico nano usuraio Quilp a causa dei debiti di gioco contratti dal nonno, la povera orfana Nella e il vecchio antiquario si vedono costretti a fuggire dalla loro singolare bottega, dando così inizio a un lungo viaggio tra i sobborghi londinesi caratterizzato da curiosi incontri e bizzarre peripezie. L'eccezionalità dei personaggi, di volta in volta messi in scena dall'autore, induce il lettore a una profonda riflessione sul genere umano e sul senso della vita. L'uso di un tono fragile, esile e trasparente, che si riflette nel carattere della piccola protagonista, assicura al libro la sua unicità poetica e suscita forti sentimenti in chi lo legge, specialmente sul finale.


"I fantasmi del cappellaio", Georges Simenon.244 pagg.

Una piccola città, La Rochelle, immersa in una gelida pioggia autunnale; borghesi apparentemente insospettabili che giocano a bridge; una serie di strani delitti che viene improvvisamente a turbare la vita della città; e due personaggi (il cappellaio, agiato e rispettabile commerciante, e il "piccolo sarto" armeno con addosso il suo irrimediabile odore di aglio e di miseria) che si osservano in una comunicazione tragica e segreta: due sguardi consapevoli, due punti di vista contrapposti e complementari fino alla reciproca dipendenza, fino alla complicità, si affrontano in una sorta di controcampo investigativo di altissima tensione drammatica.


"Il pasticciere del re", Anthony Capella. 431 pagg.

È il 1670 e il dolore regna alla corte inglese di Carlo II Stuart. Madame Enrichetta, l'amata sorella del re andata in sposa a Filippo di Francia, fratello di Luigi XIV, è morta in circostanze misteriose a Versailles, e il re, il principe inglese amante dei piaceri, convinto che la sorella sia stata uccisa dal marito, si è trasformato in un monarca infelice. Ha cacciato via il sarto, mandato via l'amante e sprofondato la corte intera in un lutto stretto. Per riguadagnare i favori del re triste, decisivi nel conflitto con l'Olanda, Luigi XIV ha deciso di spedire a Londra un giovane italiano, Carlo Demirco, e una 'belle bretonne', Louise de Kérouaille. Carlo Demirco possiede un dono raro in quell'epoca: è il pasticciere di Versailles, il creatore dei mirabolanti sorbetti di fiori canditi, di pesche aromatizzate alla galanga, di pere insaporite con crema inglese, che stupiscono i cortigiani e le loro dame durante i grandiosi ricevimenti. Louise Renée de Penancoèt, dame de Kérouaille, figlia maggiore della famiglia più antica di Bretagna, spedita a corte dai genitori per trovare marito e risollevare le sorti del casato decaduto, ha anche lei un merito non da poco agli occhi di Luigi XIV: è stata la damigella preferita di Madame Enrichetta, la sua più intima confidente. Demirco e la 'belle bretonne' hanno un compito preciso: ridestare ai piaceri della vita Carlo II Stuart e ricondurlo così sulla retta via del suo antico legame con Parigi.


domenica 25 agosto 2019

Recensione. "I traditori" di Giancarlo De Cataldo.

Ben ritrovati lettori. Sono un po' di fretta perché sto scrivendo la mia recensione per la Challenge appena appena in tempo per il fischio di fine gioco. La premessa è che non avevo mai letto niente prima d'ora di De Cataldo, e questo libro languiva nella mia libreria da moooolti anni in attesa del suo turno. Diverse volte lo avevo preso e ne avevo sfogliato le prime pagine, ma mi ritrovavo ogni volta con il desiderio di leggere qualcosa di diverso.

Invece ieri pomeriggio, la brigata di simpaticone che sta dietro alla Challenge ha deciso di sfidarmi a leggere un libro di almeno 500 in pagine in meno di 24 ore. Ardua fatica! E mi ritrovavo a casa con una scelta limitatissima di cartacei tra le 500 e le 600 pagine non ancora letti, e una scelta pari a zero su Amazon Prime Reading. Quindi, lettura obbligata questa, ma è stata deliziosamente piacevole. 

                                   Trama:
Da Palermo a Londra, da Roma a Torino, da Venezia alla Transilvania, nelle carceri inglesi e nei boschi della Calabria, tra pittori preraffaelliti e camorristi promossi poliziotti, tra mercanti di carne umana e lord irrequieti, giovani uomini e donne sognano, combattono e amano. E tradiscono. Ognuno va incontro al suo destino. A qualcuno tocca in sorte una nuova vita. Alcuni diventano faccendieri e delinquenti. Alcune donne guardano più avanti, più lontano. Gli ideali più puri si fanno gretta convenienza. Le organizzazioni criminali si innervano nella nazione che nasce. I mafiosi intraprendono. I tagliagole tagliano gole. E Mazzini tesse la sua tela di sangue e utopia. Eppure, tra battaglie e cospirazioni, tra vite leggere e amori complicati, si compone potente e netto il disegno di una stagione e di un ideale che è sempre possibile. E che di nuovo ci attrae, con l'innocenza di una forza giovane che non possiamo dissipare. L'epica eroica, torbida, idealista e ribalda dell'Italia che nasce: dal lato oscuro del Risorgimento, un racconto sul nostro presente.

Il romanzo narra delle avventure di contorno dei personaggi che, a favore o contro, contribuirono a costruire l'immagine di Giuseppe Mazzini e a tramandare un resoconto edulcorato della rivoluzione per costituire l'Italia unita.


Eccetto per i nomi storicamente verificati (ammetto che ho tenuto sempre aperta la pagina di wikipedia durante la lettura e vi ho ricorso spesso per verificare la fondatezza storica), c'è tutto un susseguirsi di personaggi piuttosto pittoreschi, che tra il 1848 e il 1867 vivono la loro vita e le loro avventure in funzione di un ben definito concetto di rivoluzione.

Credono fermamente che Rivoluzione non significhi soltanto cacciare lo straniero, 
ma liberare l'individuo, qualunque sia il suo sesso, 
da ogni forma di oppressione.

Il barone veneziano Lorenzo di Vallelaura, il sardo Terra di Nessuno, la meticcia nobile Lady Violet, il sarto romano Mario Tozzi, il baronetto siciliano Michele Liberato, la Striga, lo spietato Lord Chatam, ognuno con un personale obiettivo, intrecciano i loro destini, forse casualmente, forse è il fato a metterci uno zampino, con Giuseppe Mazzini, ora a Londra, ora a Roma, ora a Milano, tutti infatuati dell'idea di libertà che scaturisce dai discorsi dell'eroe della giovane Italia.

C'è in questo libro una moltitudine di personaggi, ognuno introdotto e caratterizzato individualmente con poche parole semplici e concise, che danno un'idea chiara immediatamente di cosa bisognerà aspettarsi da ognuno di loro nel corso del libro. Le spie fanno il doppiogioco, e cadono a volte nei loro stessi tranelli. Ci sono personaggi che incarnano il male assoluto e non smentiscono mai la loro natura. C'è la peggiore feccia umana, prostitute, traditori della patria, ruffiani, commercianti di carne umana, mafiosi e picciotti senza scrupolo, generali austriaci pederasti, strozzini ebrei, e tutto ciò che di bello e di brutto si può dire di certi personaggi storici, da Mazzini a Garibaldi, da Cavour a D'Azeglio, da Carlo Alberto di Savoia a Napoleone III. 


E poi studiosi, matematici, filosofi, prostitute che si improvvisano infermiere, donne nobili che costruiscono scuole per i poveri, una sordomuta sfuggita all'accusa di stregoneria che legge il destino delle persone nei numeri. Un'umanità varia e sgargiante, dove nessuno è buono o cattivo in senso finito, e dove la linea sottile tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato viene continuamente spostata.

Comprese che aveva ancora molto da imparare:
dalla Striga, da Mazzini, dallo stesso Lorenzo, dal mondo insomma.
E capì che ciò che lo attendeva, nel futuro,
era un'interminabile teoria di ombre
qua e là accese da sporadiche isole di luminosità.
Se avesse saputo dominarle, quelle ombre, 
o se avesse almeno imparato a conviverci,
sarebbe diventato un uomo migliore.


Il romanzo è narrato in alcuni capitoli al tempo passato e in altri al tempo presente, una cosa che non mi capitava da diverso tempo, e l'ho trovato uno stratagemma azzeccatissimo, perché sembra di star guardando un tableau vivant come quelli citati spesso nel libro. 

Devo dire che, anche se avevo delle remore, lo stile di scrittura di De Cataldo è piacevole e scorrevole. Molti termini li ho dovuti cercare sul vocabolario, lo ammetto, però il suo modo di narrare è sobrio, fluido, concreto. Intriso di satira, anche, a mio avviso, con spunti interessanti per riflettere sulla condizione attuale del governo in Italia. 


Tra matrimoni e convivenze fuori dalla grazia di Dio che si celebrano e poi si ritrattano, tra società che si compongono e poi si sciolgono, tra uomini di chiesa e uomini senza dio, bambini che nascono illegittimi e uomini che muoiono lontano da casa, città che vengono conquistate e regalate, ognuno reinventa il proprio destino.

Molto interessante è l'epilogo di questo libro, che mi ha fatto venire il desiderio di approfondire diverse questioni. Alla fine del libro c'è una sorta di epistolario in cui alcuni dei personaggi principali delle vicende raccontano il proprio epilogo. Paolo Vittorelli de la Morgiére racconta la presa di Roma del 1870; Lady Violet Cosgrave racconta degli ultimi giorni a Londra di un Giuseppe Mazzini invecchiato ma ancora lucido; Salvo Matranga che dopo aver seminato in Sicilia quella che diventerà la "Maffia" si prepara a emigrare in America; Lorenzo di Vallelaura racconta infine, in maniera certo un po' romanzata, le ultime ore di vita di Mazzini dopo anni di latitanza, e confessa sul letto di morte dell'eroe il proprio tradimento alla causa patriottica. 

E' il gioco delle ombre ad accendere la mia immaginazione, 
o davvero Mazzini sorride?
E' la coscienza della mia colpa a scatenare questa fantasia,
o le sue labbra si muovono e si sforzano di articolare una risposta?
Lo so, l'ho sempre saputo, era ciò che andava fatto, continuate la mia opera.
Sono i suoi occhi che, improvvisamente spalancati,
scrutano nei miei e sembrano volermi trasmettere
l'energia che abbandona il suo corpo?


Un romanzo molto intenso e coinvolgente, dove, più che altro, la componente storica è un appiglio per sviscerare le passioni e gli istinti, bassi o nobili che siano, che smuovono le azioni degli uomini. Libro consigliatissimo, sotto tutti i punti di vista. 

sabato 24 agosto 2019

Recensione. "Il manoscritto incompiuto" di Liam Callanan. La mia punizione

Buongiorno lettori. Io non vorrei incolpare nessuno, ma una delicata manina ha pescato per il mio obiettivo della Challenge il titolo di un libro che, se fosse stato mio e in formato cartaceo, probabilmente sarebbe finito nel water o in un falò estivo. 

Lo so, lo so, è sacrilego pensare di dare fuoco a delle pagine perché ogni libro in fondo ha una sua dignità, ma credetemi, questo se lo meriterebbe davvero.

Trama:
Leah Eady è abituata alle assenze del marito. Ogni volta che lavora a un nuovo romanzo, Robert scompare per qualche tempo, lasciando una nota con scritto: Torno presto. Stavolta, però, al posto del solito biglietto, Leah trova la prenotazione di un volo per Parigi a nome suo e delle figlie. Possibile che Robert voglia essere raggiunto? Eppure, arrivate in Francia, non c'è il marito ad accoglierle, bensì il suo manoscritto, incompiuto, che racconta di una famiglia americana che si trasferisce a Parigi. Seguendo gli indizi disseminati nel testo, Leah s'imbatte in una graziosa libreria del Marais, vicino alla Senna, con la facciata dipinta di rosso e una proprietaria che non vede l'ora di cedere l'attività. Quasi senza rendersene conto, Leah acquista il negozio e le centinaia di volumi stipati sugli scaffali, nella speranza che, in una di quelle storie, si celi un tassello del puzzle che la riporterà da Robert. Più passano le settimane, però, più Leah si sente rinascere: rispetto all'esistenza grigia che conduceva a Milwaukee, la vita parigina è un caleidoscopio di colori. E, tra le chiacchiere coi simpatici clienti della libreria e la magia dei libri che lei divora avidamente, Leah si rende conto che, con o senza Robert, è giunto il momento di prendere in mano la sua vita, e che tocca a lei scegliere il finale del manoscritto incompiuto da cui tutto ha avuto inizio

Come sapete se mi seguite da un po', le mie stroncature di solito sono veloci e coincise. Non ho nessuna intenzione di sprecare il mio tempo, il vostro e lo spazio sul web per un libro che non è degno della mia stima. Quindi procedo direttamente con l'elenco scrupoloso dei difetti di questa cosa (definirlo romanzo è troppo).


1. Un quarto del libro sembra un saggio dedicato a vita morte e miracoli di Lamorisse e Bemelmans, come se lo scrittore ci avesse voluto infilare a forza la sua tesina di laurea. Due ignoti per me, comunque, e se mi fossero rimasti ignoti la mia vita di certo non sarebbe cambiata in peggio.

2. Per i primi capitoli non si fa che parlare di Robert, nel bene e nel male, o le due cose contemporaneamente. A un certo punto mi sono chiesta con cosa tirasse a campare sta famiglia, poi si scopre che Leah fa la speechwriter. Ma quanto guadagna una che scrive discorsi e monta presentazioni Powerpoint per il rettore dell'università? Ma davvero ci campa una famiglia? Ma davvero riesce ad arrivare in Francia e ad acquistare una quota della libreria? Scherziamo?

3. Personaggi uno più improbabile dell'altro. Le figlie sono una tortura, Eleanor mi sembra un'adolescente svampita in taglia XXL. La protagonista, Leah, non l'ho inquadrata fino in fondo. Se l'intento dello scrittore era ricreare i tormenti interiori e le contraddizioni di una donna di mezz'età che ha perso il marito, beh c'è riuscito benissimo. Peccato che si fa fatica a starle dietro.

4. Il libro era partito bene, l'idea di fondo non sembrava troppo banale, ho perfino apprezzato l'umorismo delle prime pagine. Poi sono iniziate quelle. Quelle frasi. Periodi brevissimi. Punti. Troppi punti. Dannazione. Fastidioso, vero? 

5. Vorrei dedicare un paragrafo in particolare ai corsivi di questo libro. Ogni tre righe c'era un corsivo. Il corsivo serve per sottolineare una parola un po' fuori dal contesto. Bene, qui è tutto fuori contesto. Anzi sono tutti fuori di testa. 

6. L'azione, scordiamocela. Ci sono paragrafi talmente lunghi in cui Leah rimugina sui suoi pensieri che quando riprende la conversazione, bisogna tornare qualche pagina indietro e riprendere il filo della conversazione che si era persa per strada entrando nei meandri della mente della protagonista. Troppa introspezione, poca azione. Se volessimo ridurre questo libro all'azione, perderebbe tre quarti delle sue pagine. 

7. Poi, come per magia, nell'epilogo, nelle ultime 10 pagine, il tempo scorre velocissimo, tanto che ho fatto fatica a stare dietro a  tutti i cambiamenti nella vita di Leah e delle ragazze.

8. Il dialogo bizzarro tra Robert e Leah verso la fine del libro, pieno di punti sospensivi e frasi lasciate a metà. E' tutto un "ma io.. volevo.. ho fatto.. pensavo che.. che noi.." E che cavolo, no! Non si scrive così un dialogo, accidenti. 

9. Il finale è sconclusionato pari al resto del libro, ma non scontato. Avrei giurato che sarebbe finita esattamente in maniera opposta. E comunque a me non piacciono i finali aperti, ma ti prego sig. Callanan evita di scrivere il seguito, che è meglio non sprecare carta.

10. Insomma, personaggi da buttare, storia senza capo né coda, situazioni e dialoghi inverosimili, una madre che passa metà tempo a incolparsi di non essere brava abbastanza e poi quando è il momento di esserci per le sue figlie... beh, lei non c'è. Un padre che all'inizio viene osannato, poi si ritratta tutto, e alla fine non si capisce bene se sia stato un buon padre o un vigliacco. Sconclusionate anche le misteriose apparizioni di Robert a Parigi, di cui avrei fatto a meno volentieri. Tra l'altro una Parigi molto poco interessante, soprattutto se la si considera sotto il punto di vista del turismo dedicato esclusivamente a una bambina protagonista di una serie di libri che nessuno ha mai sentito nominare. 


Non leggete questo libro. 

domenica 11 agosto 2019

Recensione. "Il tredicesimo dono" di Joanne Huist Smith. Una vera favola natalizia

Buonasera lettori. E' vero che sentir parlare di Natale in questo periodo dell'anno non è proprio il massimo e quando mi è stato assegnato come obiettivo della Challenge "leggere un libro ambientato a Natale" sono andata un po' nel pallone. 

Capiamoci, a me piace il Natale e l'atmosfera natalizia, ma in questo periodo sono in vena di storie un po' più avventurose, se non addirittura macabre. L'idea era quella di leggere un bel giallo ambientato a Natale ma la chiusura estiva delle biblioteche ha ostacolato i miei piani. Dunque stavo ripiegando su una raccolta di racconti noir, scritti da autori celebri, ambientati durante le festività natalizie, ma all'improvviso mi sono resa conto che la cosa stava prendendo una piega leggermente sacrilega, se capite cosa voglio dire.

Quindi ho dirottato la mia scelta su un romanzo più leggero, a tema "a Natale siamo tutti più buoni", e ho deciso che terrò in serbo la raccolta di racconti "Nero Natale" per le feste invernali, per stemperare la magia natalizia quando rischierò di essere sopraffatta da cotanta bontà che, francamente, non è nella mia natura. 

Trama:
«Mamma, abbiamo perso l’autobus.» È la mattina di un freddo e grigio 13 dicembre, e Joanne viene svegliata improvvisamente dai suoi tre figli in tremendo ritardo per la scuola. Ancora non sanno che quel giorno la loro vita sta per cambiare per sempre. Mentre di corsa escono di casa, qualcosa li blocca d’un tratto sulla porta: all’ingresso, con un grande fiocco, una splendida stella di Natale. Chi può averla portata lì? Il bigliettino che l’accompagna è firmato, misteriosamente, «I vostri cari amici». Mancano tredici giorni a Natale, e Joanne distrattamente passa oltre: è ancora recente la morte di Rick, suo marito, e vorrebbe solo che queste feste passassero il prima possibile. Troppi i ricordi, troppo il dolore. Ma giorno dopo giorno altri regali continuano ad arrivare puntualmente, e mai nessun indizio su chi possa essere il benefattore. La diffidenza di Joanne diventa prima curiosità, poi stupore nel vedere i suoi figli riprendere a ridere, a giocare, a divertirsi insieme. Sembra quasi che stiano tornando a essere una vera famiglia. E il mattino di Natale, mentre li guarda finalmente felici scartare i loro regali sotto l’albero addobbato, Joanne scopre il più prezioso e magico dei doni. Quello di cui non vorrà mai più fare a meno, e il cui segreto ha scelto di condividere con i suoi lettori in questo libro suggestivo, profondo ed emozionante. Il tredicesimo dono riesce così ad aprirci gli occhi sulla gioia che ci circonda sempre, anche nei momenti più impensabili. Sulle sorprese inaspettate che la vita sa regalarci. E sulla felicità improvvisa che tutti possiamo donare a chi ci sta accanto, non smettendo mai di credere nella forza e nella generosità dei nostri cuori. 


La storia è narrata in prima persona da Joanne, che racconta di come è cambiata la sua famiglia in quel Natale del 1999. Rimasta vedova da poco più di due mesi, all'avvicinarsi delle festività Joanne si rifiuta di entrare nello spirito natalizio. I suoi tre figli, Megan di 10 anni, Nick di 12 e Ben di 17, reagiscono al dolore della perdita del padre a modo loro. In casa sembrano quattro estranei, ognuno chiuso a riccio nel proprio dolore, finché è lo spirito natalizio di qualcun altro che va a bussare alla loro porta.

Seguendo la filastrocca The twelve days of Christmas, ogni sera compare davanti alla loro porta un regalino, consegnato da sconosciuti, accompagnato ogni volta da un biglietto di auguri fatto a mano e firmato "i vostri veri amici".


Inizia così una sorta di caccia all'uomo: Joanne e i ragazzi si incuriosiscono ogni giorno di più su chi possa essere l'anonimo benefattore. Preparano appostamenti dai punti più disparati della casa per cogliere il donatore seriale in flagrante, ma questa persona sembra essere un ninja, astuto e invisibile.

Col passare dei giorni, mentre Joanne "indaga" tra familiari e conoscenti cercando di capire chi sia a mandare i regali, i muri che si è creata attorno per superare il lutto iniziano a crollare. Si lascia convincere da sua figlia a comprare l'albero di Natale e ad addobbare la casa. Spuntano fuori libroni di ricette per preparare la succulenta cena della vigilia. Passa intere giornate nei centri commerciali ad acquistare regali. Infine riesce persino a rimettere piede nella camera da letto in cui non è più entrata dopo la morte del marito per mettere via scatole e scatole di cose da dare in beneficenza.

Durante alcune di queste spedizioni fuori casa, così difficili da affrontare per lei, Joanne entra in contatto con delle persone che le aprono gli occhi sul modo di percepire l'assenza, il lutto, il dolore, l'oblio e di superare tutto con ottimismo. Joanne fa tesoro delle loro esperienze, e da lì, in modo quasi inconsapevole, mette in moto una catena di buone azioni che si ripercuotono su altre persone estranee a lei.  


Insomma, alla fine i regalatori seriali riescono nel loro intento di riunire la famiglia di Joanne il giorno di Natale e di far riscoprire loro la felicità che si prova nel donare più che nel ricevere. Ma solo nel 2014, anno di stesura del romanzo, Joanne arriverà a conoscere quelle persone, mosse da un intenso spirito di generosità e solidarietà, che hanno ribaltato la sua percezione della vita. 

Ora, se volete sapere se ci ho lasciato un pezzettino di cuore in questo romanzo, la risposta è no. Ha i tipici difetti del libro d'esordio, e, benché tratto da una storia vera, ci ho trovato delle forzature, soprattutto nei dialoghi e nelle descrizioni del caro estinto. Soprattutto alla bambina più piccola, Megan, credo siano state messe in bocca delle parole che una decenne non si sognerebbe mai. E per quanto riguarda Rick, il marito e padre perso in circostanze tragiche, ho trovato le descrizioni un po' troppo a misura di supereroe. Un pizzico in più di realismo non avrebbe guastato.

La narrazione è fluida e scorrevole, tanto da lasciarsi leggere in poche ore. La storia non è appesantita dal dolore e dalla tragedia, e non diventa mai stucchevole o melensa, ma i momenti più intensi del libro non mi hanno travolto di emozioni, ecco.

Cosa mi è rimasto di questo libro? La lezione fondamentale che la scrittrice voleva trasmettere io l'ho colta in pieno e l'ho apprezzata, anche se credo che non dovrebbe limitarsi alla feste natalizie. 



Io ne ho fatto il mio motto. Se lo facessimo tutti, il mondo sarebbe un posto migliore. Non solo a Natale, puoi. 


sabato 10 agosto 2019

Recensione. "Cacciatore e preda" di Bernard Cornwell. C'è del marcio in Danimarca

Buonasera lettori. Avete presente quando in ufficio arriva una nuova collega e vi dà subito sui nervi? Arriva tutta carina e infiocchettata, tutta sorrisi e moine, e voi dovete ingoiare il sarcasmo e tollerare la sua presenza? D'altronde i colleghi non te li scegli, ti vengono imposti. E poi, dopo un paio di giorni, la tizia si rivela simpatica? E si innesca un sentimento di odio/amore/odio causato dall'amore? Beh, succede pure coi libri, a quanto pare.

E' vero che un libro dovrebbe essere sempre un piacere e non un'imposizione. Ma le Reading Challenge, servono anche a questo no? A leggere libri "imposti" che altrimenti avremmo snobbato. Ecco, io mi sono ritrovata con questo libro imposto per via del colore della copertina, che ho odiato nel momento stesso in cui l'ho tirato giù dallo scaffale della biblioteca, e che poi, sorpresa sorpresa, ha iniziato a piacermi. 

Trama:
1807: Sharpe, promosso tenente delle giubbe verdi, non riesce a «legare» con i nuovi colleghi ufficiali. Decide quindi di disertare, ma, rimasto senza un soldo, deruba e uccide l’odiato direttore dell’orfanotrofio in cui è cresciuto. Sta per fuggire da Londra quando riceve l’incarico di scortare un certo maggiore Lavisser, che deve raggiungere Copenaghen con una cospicua somma per corrompere il principe ereditario di Danimarca al fine di trasferire in Inghilterra la flotta da guerra danese, su cui ha messo gli occhi la Francia, rimasta senza navi dopo la battaglia di Trafalgar. Gli inglesi, pur di impedire che quella flotta finisca ai francesi, sono pronti, se fallisse la missione di Lavisser, a usare la forza, bombardando Copenaghen. Quando i due sbarcano sulle coste danesi, Sharpe scopre che Lavisser lo vuole morto. Riesce a salvare la pelle, ma è solo. Raggiunta la capitale, chiede aiuto a un mercante, Skovgaard, in realtà a capo di una rete di spionaggio che lavora per gli inglesi. Questi non soltanto non crede a Sharpe, che accusa Lavisser di furto e assassinio, ma lo scambia per un sicario incaricato di uccidere il principe ereditario, e lo rinchiude per consegnarlo allo stesso maggiore. Sharpe, ancora una volta, riesce a fuggire appena in tempo, perché Lavisser arriva prima del previsto con una banda di sicari. Ma, più che Sharpe, è Skovgaard l’uomo che Lavisser intende catturare. Il maggiore, infatti, lavora segretamente per i francesi e, avendo capito che il mercante regge le fila dello spionaggio inglese, intende cavargli di bocca i nomi dei suoi informatori. Letteralmente, perché allo scopo gli strappa due denti. Sharpe lo salva, uccidendo i suoi aguzzini, ma non Lavisser. Intanto la flotta e l’esercito britannici hanno stretto d’assedio Copenaghen. Lavisser è in agguato, ma anche Sharpe...


Il primo motivo per cui ho detestato questo libro è la sinossi. Se mi spiattelli tutto nella quarta di copertina, io so già chi sono i buoni, chi sono i cattivi, dove vanno tutti, e mi spoileri gran parte dell'ambientazione storica, perché dovrei leggere quasi 400 pagine? Mistero.


Il secondo difetto di questo libro sono i capitoli: decisamente troppo lunghi, e divisi in pochi paragrafi. Quindi mi sono ritrovata spesso a dover mettere il segnalibro nel bel mezzo del capitolo, nel bel mezzo dell'azione o del discorso, incuriosita e indispettita nello stesso momento. 

Il terzo difetto, anche se trascurabile, è che ho trovato un po' forzato l'elemento rosa, ovvero l'amore che sboccia tra il protagonista, il tenente Richard Sharpe, e la bella figlia del mercante Skovgaard, Astrid. 

Per il resto questo libro si fa apprezzare sotto tutti gli aspetti. Sulla trama non c'è molto da aggiungere, eccetto il finale, visto che la sinossi è fin troppo dettagliata. Richard Sharpe è un personaggio davvero ben congegnato, con i suoi pregi e i suoi difetti. E' un onorevole e coraggioso soldato, ma ha il debole per i soldi facili. Tiene molto a cuore il suo paese, ma sarebbe pronto a voltare la faccia se l'Inghilterra dimostrasse, come dire, un eccessivo zelo nel portare via la flotta danese bombardando Copenaghen e ferendo i civili, donne e bambini. 

Altro punto a favore del libro è che, sebbene si tratti di un punto intermedio all'interno della saga storica che vede protagonista il tenente Sharpe, non ho risentito della mancata lettura delle avventure precedenti. Lo scrittore cala direttamente nel vivo dell'azione, accennando al passato di Sharpe descritto nei libri precedenti, ma senza appesantire la narrazione. 

La scrittura è scorrevole e piacevole, con l'unica pecca, come dicevo, di capitoli interminabili. I personaggi che fanno da contorno sono ben delineati, le loro storie e i loro background si intersecano bene e creano l'ambientazione perfetta. Non manca anche un certo humour. Vengono tratteggiati anche personaggi storici di spicco, come sir Arthur Wellesley, e il ruolo decisivo che hanno avuto nella guerra contro la Francia. 


Per quanto riguarda il contesto storico, che è la cosa che maggiormente mi attirava, ho trovato la ricostruzione molto interessante. Nemmeno sapevo del ruolo della Danimarca all'interno della guerra tra Francia e Inghilterra durante le conquiste napoleoniche. Interessante anche il riferimento all'Amleto e al castello in cui è ambientata la celebre tragedia di Shakespeare. 

L'ambientazione è molto evocativa, dalle descrizioni dell'insenatura danese che conduce al porto di Copenaghen (confesso che sono andata a guardarmi la cartina geografica del Baltico) alla brutalità della guerra corpo a corpo, dalle tattiche della marina inglese al paesaggio infernale di una città sotto assedio. Non c'è forzatura nelle descrizioni, anche quelle più truculente, e questo livello di azione mi ha emozionato non poco.

Insomma, nonostante la mia ingiustificata antipatia iniziale, ho dovuto ricredermi. E' un romanzo d'ambientazione storica ben scritto, con personaggi che si fanno apprezzare, denso di azione e di strategie belliche, forza bruta e cinismo, con qualche dolce tocco di generosità qua e là. Con questo non intendo dire che correrò a recuperare tutti gli altri romanzi della saga, ma almeno ho fatto pace con i miei pregiudizi sui libri dalla copertina verde. 




Recensione. "Cime tempestose" di Emily Bronte. Riflessioni su un amore malato.

Buongiorno lettori. Siete in vacanza? Vi state rilassando? State leggendo molto? Io leggo poco in questo periodo, preferisco approfittare del tempo libero e del sole per fare un po' di attività all'aria aperta, ma mi ritaglio del tempo per parlarvi delle mie letture. Oggi siamo in odore di classici, di quelli che sono pilastri portanti della letteratura, perché almeno una volta all'anno mi sembra giusto dedicargli dello spazio, anche se si tratta di ri-letture. 

Dite la verità, soprattutto le donne, se dico "libri ambientati nell'800" dove corre subito la mente? Zia Jane, ovviamente, e le sorelle Bronte. Quest'anno ho deciso di rileggere Cime Tempestose, guidata da un certa inquietudine nell'animo, che non saprei come descrivere se non come una smania per una lettura "scomoda". 

E di cose scomode in questo libro ce ne sono parecchie, molte più di quante ne ricordassi dalla mia prima lettura di questo romanzo, avvenuta diversi anni fa quando acquistai l'edizione economica che vedete in foto.


Trama:

Heathcliff e Catherine si sono conosciuti ancora bambini, nella grande casa di Cime Tempestose, una grande tenuta di campagna inglese. Lui è un ragazzo di strada, passionale, vendicativo, follemente innamorato di Catherine. Lei è un fanciulla viziata, capricciosa, follemente innamorata di Heathcliff. Ma struggenti e travagliate vicende familiari si opporranno al loro amore, per tutta la vita. Una storia d'amore travolgente, che consuma i suoi protagonisti, un intreccio a cui non si può resistere.




La storia ormai la conosciamo, ma se vogliamo approfondire la trama e i personaggi, alla mia età e con i tempi che corrono, devo dire che questo piccolo capolavoro mi ha portato a fare molte riflessioni.

Ora, teniamo presente che Miss Bronte era un tantino asociale, se così possiamo dire. Visse la sua breve vita praticamente confinata in casa, con due sole eccezioni: insegnò per sette mesi nella scuola di Law Hill e trascorse un anno in Belgio insieme a sua sorella Charlotte per migliorare la conoscenza delle lingue. Emily era distratta, disordinata e intrattabile, e viveva in un mondo tutto suo.

Questo suo modo di essere e di sentire, il suo legame strettissimo con la casa paterna e la brughiera si riflette ovviamente nel romanzo "Cime tempestose". Ne viene fuori un romanticismo portato all'estremo, con una nota gotica nelle descrizioni del freddo e dello squallore che dominano la residenza di Wuthering Heights, con dei personaggi dall'animo oscuro, spinti da sentimenti biechi di odio e di vendetta. 


In questo romanzo non c'è un solo personaggio mosso da carità, misericordia o generosità: perfino Nelly, la cameriera personale di Catherine che narra gran parte della storia, ammette più volte di aver agito in alcune occasioni seguendo un suo istintivo sentimento di rivalsa contro i suoi padroni.

Heathcliff è l'antieroe per eccellenza, le sue descrizioni fisiche mettono i brividi: non ride mai ma ghigna in modo diabolico. Catherine è insensibile, capricciosa e volubile. Edgar Linton è un mollaccione, e il suo essere riflessivo e pacato viene spesso messo in ridicolo. Hindley è un poco di buono, devastato dal lutto e dalla povertà poi peggiora nella vecchiaia. Perfino Joseph, il domestico, è burbero, bisbetico e irriverente. 


Nella seconda generazione delle due famiglie, i Linton a Thrushcross Grange e gli Heathcliff/Earnshaw a Wuthering Heights, questi sentimenti di odio vengono lievemente smussati ma si sa, la mela non cade mai lontano dall'albero. La piccola Catherine è degna figlia di sua madre, il giovane Linton è insopportabile e il giovane Hareton diventa la copia in miniatura di Heathcliff.

Un pandemonio, insomma. Tutti hanno qualcosa da recriminare, un motivo per odiare, un torto da vendicare. E l'amore, direte voi, questo amore tragico tra Catherine ed Heathcliff, che fine ha fatto?

In realtà entrambi ne parlano, e c'è una bella collezione di frasi decisamente evocative, ma non lo ammetteranno mai l'uno con l'altra, non fino al momento della morte di Catherine.

Tu mi amavi: che diritto avevi, allora, di lasciarmi? 
Che diritto, rispondimi, di sacrificarmi al tuo miserabile capriccio per Linton? 
Mentre né la miseria né la degradazione, né la morte, 
nulla di tutto quel che Dio e Satana potevano infliggerci, ci avrebbe separato, 
tu, di tua piena volontà hai fatto ciò. 
Non io ti ho spezzato il cuore, ma tu stessa: e il mio col tuo. 
Tanto peggio per me se sono forte. Ho forse bisogno di vivere? 
Che razza di vita sarà la mia quando tu... Oh, Dio! 
Io ti perdono per quello che hai fatto a me. 
Io amo il mio carnefice; ma il tuo? Come potrò?

Beh, io fatico a chiamarlo amore. E' una passione malata, l'ossessione per qualcosa che non si può avere, che li porta a ferirsi a vicenda continuamente, in vita e anche dopo la morte.

Catherine Earnshaw, possa tu non trovar mai riposo finché io vivo! 
Tu dici che io ti ho uccisa: tormentami, allora. 
Le vittime perseguitano i loro assassini, io credo. 
Io so di fantasmi che hanno errato sulla terra. 
Sta sempre con me... prendi qualunque forma... rendimi pazzo! 
Ma non lasciarmi in questo abisso, dove non ti posso trovare! 

Insomma, tutti lo celebrano come romanzo d'amore, ma non lo è! E' una storia disturbante di amori malati, brutti sentimenti covati fino alla morte, isteria, terrore, spiriti che perseguitano i vivi, personaggi che sanno come farsi odiare, e soprattutto, a eccezione della brughiera, tutte le scene si svolgono solo all'interno delle due case. Forse anche questa clausura contribuisce alla follia?

Io ho provato a immaginare questa storia se accadesse ai giorni nostri. Tanto per cominciare ci vedo una bella denuncia per stalking. Associazione a delinquere tra Earnshaw e Heathcliff. Poi i servizi sociali a casa di Heathcliff per maltrattamento di minori. Sequestro di persona ai danni della giovane Catherine Linton. E per concludere, necrofilia.

Un giudizio troppo severo, forse, nei confronti di un pilastro della letteratura ottocentesca. Però bisogna ammettere che di fantasia a quei tempi ce ne voleva tanta per apparecchiare una storia d'amore così sordida, quindi tanto di cappello a Emily Bronte.