giovedì 26 gennaio 2017

Gdl Librarsi: l'incontro di gennaio 2017

Ben ritrovati cari lettori! Ieri sera c'è stato l'incontro mensile del nostro GdL in biblioteca e come al solito vi parlo delle nostre impressioni su questo romanzo super conosciuto.



Trama:
Al principio del 1939 Heinrich Harrer, ex campione di sci e famoso alpinista austriaco, viene scelto per partecipare alla spedizione sul Nanga Parbat. Tornerà in patria solo dopo incredibili eventi: sarà internato in un campo di concentramento, evaderà più volte, riuscendo a penetrare in terre mai visitate da un occidentale e a fare amicizia con il giovane Dalai Lama; ma soprattutto conoscerà e sarà conquistato da una cultura antica e affascinante, di cui diventerà il paladino. Un'avventura al limite dell'incredibile - ma anche una testimonianza storica e umana sugli ultimi anni del Tibet indipendente, alla vigilia della drammatica invasione delle truppe cinesi.





Se non fosse accidentalmente rientrato tra gli obiettivi di una Challenge avrei molto probabilmente mollato questo libro molto prima di arrivare a metà. Heinrich Harrer racconta qui in prima persona la sua esperienza nel Tibet a stretto contatto con un popolo le cui abitudini sono perlopiù sconosciute e/o fraintese. Fin qui mi pare anche un dignitoso intento; peccato che, per stessa ammissione dell'autore nelle prime pagine, egli non sia propriamente un maestro nel narrare. E sorge spontanea una domanda: "Assumere un ghostwriter, nooo???"
Pazienza, chiudiamo gli occhi, annuiamo e proseguiamo.
Harrer si trova coinvolto nel bel mezzo dei contrasti della seconda guerra mondiale mentre, in compagnia di altri esperti scalatori, sta valutando gli accessi alla catena dell'Himalaia. Fugge quindi da un campo di concentramento indiano e insieme ad alcune persone inizia il calvario che dovrà condurlo nel neutrale Tibet, che all'epoca si rifiutava categoricamente di dare asilo agli stranieri, per timore che corrompessero in qualche modo il loro pacifico stile di vita.

Per buona metà del libro l'autore vorrebbe generare nel lettore un senso di smarrimento e di angoscia per il proprio destino, la fatica e gli ostacoli di un clima ostile nonostante il paesaggio mozzafiato, ma io non ho colto nessuna di queste emozioni, opinione condivisa dal resto del GdL. Sembra una coscienziosa e minuziosa sequela di avvenimenti senza il minimo pathos. Ma, come dicevo, mi sono obbligata a proseguire per il bene del mio punteggio nella Challenge. :D

Oltre la prima metà del libro, dopo numerose sofferenze causate nel lettore da una sintassi sconclusionata e confusionaria, la combriccola di alpinisti riesce finalmente a raggiungere la grande città di Lhasa, dove risiede il Dalai Lama. Qui, ad un tratto, nella descrizione delle usanze tibetane, della storia del paese, delle abitudini quotidiane e di quelle in occasione delle festività, della religione e di come questa si intrecci a doppio filo con il sistema politico e giuridico, l'autore svela finalmente una tecnica di scrittura non più così tanto noiosa, sebbene continui a saltellare avanti e indietro tra passato e presente, tra storia e superstizione, tra medicina occidentale moderna e bislacchi rimedi spirituali, disorientando il lettore.

Verso la fine, nel raccontare il suo esclusivo rapporto di amicizia con il giovanissimo e geniale Dalai Lama, Harrer mostra finalmente un po' di sana emozione, soprattutto nel momento in cui si vede costretto dall'invasione della Cina a dire addio a un paese che lo ha accolto, contro tutti i pronostici, per sette anni.
Abbiamo trovato interessante venire a conoscenza dei costumi di  un popolo di cui sapevamo davvero poco. Ma lo stile di Harrer ha compromesso tutto quello che si poteva trarre di buono dalla sua esperienza per farne un libro di pregio. Adesso siamo curiose di guardare il film (e non solo per quello gnocco di Brad Pitt, maligne!), perché credo che guardare su schermo i paesaggi descritti nel libro possa sopperire alle varie lacune del libro.




Per l'occasione  mi sarebbe piaciuto provare lo tsampa, il piatto nazionale tipico tibetano, ma purtroppo su internet non si trovano ricette approfondite, quindi per questa volta, mantenendoci nello stile di una parca e modesta dieta orientale, abbiamo pasteggiato con focaccia al burro senza condimento e thé nero amaro.






La mia personale conclusione è che non vi consiglio questo libro, a meno che non siate masochiste, oppure di prenderlo per quello che è: un disperato tentativo da dilettante (e aggiungerei un tantino presuntuoso) con le migliori intenzioni ma la minima resa.








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